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Intervista a Cuperlo: “Voterò sì, un grande partito non dovrebbe invitare all’astensione”

“Un partito quando discute manifesta vitalità e la discussione fa bene perché aiuta a trovare un punto di sintesi. Mentre quando si accentua l’argomento della divisione non va mai bene”, dice l’esponente della minoranza dem al nostro taccuino.
A cura di Claudia Torrisi
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"Andrò a votare il 17 di aprile e voterò ‘sì'". Non ha dubbi Gianni Cuperlo, raggiunto telefonicamente, sul referendum che tra pochi giorni chiamerà gli italiani a esprimersi sulla questione trivelle. Un voto che è importante al di là del merito: "Voterò ‘sì' nonostante io veda anche i limiti del quesito, che sono limiti legati al fatto che non ci sarà una ricaduta immediata che non ci sarà, perché stiamo parlando di un referendum che rimuove il rinnovo automatico della concessione estrattiva sino a esaurimento del giacimento". Ma è comunque "un fatto positivo che i cittadini si pronuncino perché persino al di là del merito del quesito. Un eventuale raggiungimento o superamento del quorum e un'affermazione forte del ‘sì' sarebbe un segnale di ordine culturale e politico, indicherebbe la grande sensibilità di una parte importante del paese verso i temi della tutela ambientale, della cura delle coste, del proprio mare, del proprio paese. Questo lo ritengo un fatto positivo in sé, un elemento di civismo". L'esponente della minoranza dem aggiunge che avrebbe preferito "una soluzione diversa".

Il riferimento è alla posizione assunta dal Partito Democratico sulla consultazione del 17 aprile, con un decisivo invito al non andare a votare. Cuperlo spiega: "Un grande partito, che peraltro oggi esercita la principale funzione di governo nel paese – ha aggiunto Cuperlo – non dovrebbe mai invitare i cittadini all'astensione. Nel senso che quando si arriva a un appuntamento elettorale, anche di tipo referendario, è bene che i cittadini siano chiamati a partecipare e a pronunciarsi".

Il deputato Pd si esprime anche sul mancato accorpamento tra referendum ed elezioni amministrative, chiesto dai comitati promotori ma negato dal governo. "C'è chi sostiene – spiega – che lo strumento dell'astensione sia un'espressione di posizione politica, ed è vero. Però intendiamoci: a me è capitato di andare a votare in quelle tornate in cui c'erano più referendum in discussione e sottoposti a giudizio degli elettori, e ricordo che in un'occasione io ho ritirato alcune delle schede ma non altre. Cioè, si può benissimo applicare la tecnica dell'astensione e del non raggiungimento del quorum anche andando al seggio. Lo dico perché quest'argomento per cui non si potevano accorpare il referendum alle elezioni amministrative è vero, nel senso che esiste un decreto del 2011 che lo impedisce. Però, per la ragione che ho appena detto, si poteva tranquillamente prevedere che un cittadino andasse a votare alle amministrative, prendesse la scheda per il comune ma non quella del referendum. Si poteva emettere un altro decreto che prevedeva l'accorpamento".

A essere mancata – o "estremamente carente" – per Cuperlo è stata "una cosa semplice: una discussione". Questo, ribadisce, "è il primo referendum nell'intera storia repubblicana che è stato convocato da un certo numero di Consigli regionali – dieci per la precisione. La maggior parte di queste regioni sono governate da amministrazioni di centrosinistra dove il Pd è forza portante quindi sarebbe stato assai più logico prevedere delle sedi di confronto per cercare di trovare una soluzione. Se si discuteva si poteva arrivare a una soluzione secondo me meno divisiva".

Quello del confronto è per l'esponente della minoranza dem un punto centrale, che va oltre il caso del referendum sulle trivelle: "Questo è un argomento generale perché un partito quando discute manifesta vitalità e la discussione fa bene perché aiuta a trovare un punto di sintesi. Mentre quando si accentua l'argomento della divisione non va mai bene". Un confronto che è mancato anche su questioni come l'emendamento "incriminato" del caso Guidi? "Quello è un episodio che va approfondito e discusso, perché al di là delle giuste dimissioni della ministra, riguarda una questione più profonda, e cioè il modo stesso in cui si prendono le decisioni".

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