Siamo arrivati all'epilogo di questa settimana di votazioni per il Quirinale. Ce ne sono volute otto, per arrivare a una convergenza trasversale sull'unico nome in grado di accontentare tutti, tranne il diretto interessato: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che giovedì 3 febbraio giurerà per il suo secondo mandato.
I partiti hanno indicato lui, come salvifico deus ex machina, l'unica figura che garantisce la continuità del governo, assicura la permanenza del presidente del Consiglio Mario Draghi a Palazzo Chigi, evitando pericolose perdite di tempo e rotture negli equilibri dell'attuale maggioranza. Come vi avevamo raccontato qui il Presidente Mattarella avrebbe accettato un bis solo nel caso in cui fossero state tutte le forze politiche a domandarglielo. È stato poi lo stesso premier Draghi a mediare, e a chiedergli questo sacrificio, per il bene e la stabilità del Paese in questo difficile frangente, con le incertezze legate alla pandemia.
Tutti contenti quindi? Non proprio. Perché il percorso con cui si è arrivati a questo risultato è stato tortuoso, e si lascerà dietro morti e feriti. Ne esce a pezzi il centrodestra, mai così diviso nonostante millantasse compattezza e unità di intenti, che è riuscito in pochi giorni a sprecare il vantaggio numerico in Parlamento, spaccando la coalizione, e non arrivando a far eleggere un Capo dello Stato della propria area. Ma un pessimo messaggio in generale lo hanno dato tutti i partiti, incapaci di trovare un'alternativa alla situazione attuale, di proporre una candidatura che superasse i veti reciproci: fumata nera dopo fumata nera il cerchio si è stretto attorno a Mattarella, praticamente per mancanza di altre opzioni valide, senza che ci fosse un disegno complessivo o una seria regia nelle trattative.
Una donna per nascondere il fallimento, da Casellati a Belloni
Ma quello che sicuramente non si può ignorare è l'utilizzo sfacciato e strumentale della questione di genere, da parte soprattutto di Matteo Salvini e Giuseppe Conte, che hanno invocato a più riprese l'urgenza di eleggere una donna al Quirinale, con l'unico intento di nascondere il proprio fallimento e l'incapacità politica di condizionare quest'elezione, andando oltre ai ripetuti rifiuti.
Tralasciando gli annunci, non si è fatto un vero tentativo per creare un dialogo tra le forze politiche per portare per la prima volta una donna al Quirinale: il cantiere insomma non è mai partito, e le dichiarazioni di intenti non bastano a rendere credibile un proposito. Il tema è stato piuttosto usato come paravento, e alla fine si è rivelato solo un trucco per distrarre i cittadini, né più né meno che un fuoco d'artificio, in un momento in cui palesemente le trattative erano arrivate a un vicolo cieco.
E così, di colpo, senza una strategia o un accordo con gli altri leader della maggioranza, dopo aver portato incautamente in Aula il nome della presidente del Senato Elisabetta Casellati, senza alcuna certezza sui numeri e sulla riuscita reale dell'impresa – la seconda carica dello Stato è stata abbattuta dai franchi tiratori della sua stessa coalizione – Matteo Salvini ha usato per la seconda volta nella stessa giornata l'uscita d'emergenza della retorica: "Sto lavorando perché ci sia un presidente donna in gamba, non un presidente donna in quanto donna. Un presidente donna in gamba".
Poco dopo un annuncio simile lo ha fatto il leader del M5s Giuseppe Conte: "Ho l'impressione che ci sia la sensibilità di Salvini, spero di tutto il Parlamento, per la possibilità di una presidente donna". Ma nel giro di poche ore la mossa si è rivelata per quella che era, un semplice diversivo: la candidatura di Elisabetta Belloni, ambasciatrice a capo del Dis (Servizi segreti), non era stata concordata con le altre forze politiche, che infatti l'hanno bocciata all'istante. E in verità i dubbi sulla candidatura li avevano già sollevati nei giorni precedenti Pd, Italia viva e Forza Italia (mentre sarebbe stata sostenuta da Fratelli d'Italia). Conte poi non l'aveva concordata nemmeno con Di Maio, con cui da giorni è in corso uno scontro fratricida, con una frattura all'interno del Movimento sempre più difficile da celare. L'ex premier ha giocato nel negoziato la carta della candidatura femminile per superare i tanti ‘no' all'elezione di Draghi al Colle che arrivavano dal M5s, per poter allontanare il pericolo di essere sconfitto dall'ala del Movimento più vicina al ministro Di Maio, che remava invece proprio a favore della candidatura dell'ex presidente della Bce.
Quello che accomuna i due leader è l'ipocrisia nel maneggiare la questione femminile, e l'esito della vicenda lo dimostra. La candidatura di Belloni è sfumata subito, quella di altre donne autorevoli che sarebbero state adatte al ruolo, come Paola Severino o Marta Cartabia solo per citarne due, non è stata praticamente presa in considerazione: la prima non sarebbe mai stata votata da Forza Italia, la seconda non raccoglieva consenso tra i Cinque Stelle.
Il disastro di Salvini e Conte
Oggi Conte si è giustificato, spiegando di aver fatto "una battaglia vera e autentica" per una Presidente della Repubblica donna. Mentre Salvini ha detto che la proposta di Belloni non era venuta in mente a lui, ma era arrivata da "Conte e Letta". La verità è che non c'è mai stata la volontà di lavorare realmente in questa direzione. Il nome di Belloni è stato tirato fuori dal cappello senza valutare i rischi, con l'unico risultato di esporla a una bocciatura, prima ancora che i Grandi elettori potessero esprimersi. Come se si trattasse appunto solo di un trofeo da sventolare, per guadagnare qualche punto di vantaggio sugli avversari. Non è un caso l'astuta formazione scelta da Salvini per lanciare la candidatura di Casellati: il segretario ha voluto accanto a sé Laura Ravetto, responsabile Pari Opportunità del partito, ed Erika Stefani, ministra della Disabilità. Un modo un po' maldestro di offrire un quadretto a favore di fotografi.
Insomma suggerire il nome di Belloni era un'operazione già abortita prima che potesse venire alla luce, in un momento tra l'altro in cui in Parlamento non ci sono mai state così tante donne. Tirare in ballo in questo modo il problema della rappresentanza femminile nelle istituzioni, buttando nella mischia profili di donne, anche prestigiosi, mostra non solo cinismo, ma anche una totale mancanza di rispetto nei confronti di coloro che lottano tutti i giorni per la parità, uomini o donne che siano. Una mancanza di sensibilità che di certo non potrà sfuggire agli elettori.