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Inchiesta Ambiente svenduto, sequestrata l’ex Ilva di Taranto ma l’acciaieria continuerà a produrre

Confermato il sequestro degli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva di Taranto. La giudice per le indagini preliminari di Potenza – che segue il caso, dopo che il processo è stato spostato da Taranto in seguito all’annullamento della sentenza in primo grado – ha criticato “l’utilizzo criminale dello stabilimento a fini di profitto”. Ma l’acciaieria resterà attiva.
A cura di Luca Pons
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Gli impianti dell'ex Ilva di Taranto – oggi chiamata Acciaierie d'Italia – resteranno sotto sequestro. Lo ha stabilito la giudice per le indagini preliminari di Potenza Ida Iura. Si tratterà comunque di un sequestro con facoltà d'uso, ovvero l'acciaieria non sarà tenuta a fermare la produzione. Il sequestro è stato confermato dopo che gli atti dell'inchiesta Ambiente svenduto sono stati trasmessi dalla Corte d'assise d'appello di Taranto alla Procura di Potenza. Il passaggio è avvenuto a seguito della decisione della Corte d'appello di Lecce, che aveva annullato la sentenza di primo grado circa un mese fa.

La sentenza, nel 2021, al termine di un processo durato cinque anni sull'inquinamento ambientale prodotto dall'acciaieria aveva portato alcune condanne pesanti per gli ex proprietari dello stabilimento. La giudice per le indagini preliminari di Potenza, nel confermare il sequestro, ha criticato "l'utilizzo criminale dello stabilimento a fini di profitto in spregio persino agli accordi presi per ridurre l'impatto mortale delle lavorazioni". Questo utilizzo "non può che essere arrestato sottraendo la disponibilità delle aree in cui avvengono le lavorazioni che hanno determinato la compromissione dell'ambiente, della salute dei lavoratori e della popolazione residente". Lo ha riportato la Gazzetta del Mezzogiorno.

Come detto, comunque, resterà la facoltà d'uso, e quindi gli stabilimenti non si fermeranno. Nel frattempo, la Procura di Potenza continuerà i lavori per imbastire un nuovo processo sul disastro ambientale dell'Ilva. Il primo grado aveva portato 26 condanne, con 270 anni di carcere complessivi. Tra i condannati, oltre agli ex proprietari Fabio e Nicola Riva, c'era stato l'ex presidente di Regione Nichi Vendola.

La contestazione della Corte d'appello, però, è stata che i giudici di Taranto non avrebbero dovuto occuparsi del caso. In particolare, due ex magistrati onorari di Taranto che esercitavano la loro funzione all'epoca dei fatti erano le parti civili che si erano costituite in causa (oltre mille in tutto). Questo avrebbe reso impossibile svolgere il processo nella città pugliese. Per questo ora il caso è stato spostato in Basilicata. Con il rischio che, se i tempi si allungheranno, cadano in prescrizione alcuni dei reati contestati.

Con il trasferimento del processo era decaduta la confisca degli impianti, e per mantenere il sequestro già in corso (il primo provvedimento in questo senso risale al 2012) serviva proprio una decisione della gip di Potenza. Che è arrivata nei tempi previsti, su richiesta della Procura. In caso contrario, il sequestro sarebbe terminato.

La giudice ha scritto, per quanto riguarda gli indagati, che "va riconosciuta la piena responsabilità delle condotte loro contestate e ai danni ambientali e per la salute", e ha chiarito che dopo le prime perizie "è stato accertato il gravissimo quadro sanitario della popolazione di Taranto in ragione dell'esposizione alle emissioni industriali".

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