In piena emergenza coronavirus la UE regala 160 milioni di euro alle industrie militari
“In questo periodo complesso su più fronti, stiamo mobilitando tutti i programmi dell’Unione per sostenere le aziende, grandi o piccole che siano. Ci stiamo anche preparando per il futuro. Con lo sviluppo condiviso delle nostre tecnologie per la difesa costruiremo un’Europa più resiliente e rafforzeremo la nostra base industriale”. Con queste parole Thierry Breton, Commissario per il mercato interno, ha presentato mercoledì scorso una serie di bandi (24 per la precisione) che faranno arrivare 160 milioni nelle casse delle industrie militari. Tra gli obiettivi lo sviluppo di elicotteri da combattimento di nuova generazione, strumenti di difesa sostenuti dall’intelligenza artificiale, munizioni e piattaforme per la gestione delle missioni di combattimento aereo. Spuntano anche due progetti più in linea con i tempi segnati dal coronavirus, entrambi nel cosiddetto campo CBRN, ossia chimico, biologico, radiologico e nucleare. Uno per la valutazione del rischio, l’allarme rapido e la sorveglianza, l’altro per le contromisure mediche come l’immunoterapia preventiva e terapeutica. “Questi ultimi due progetti hanno tutta l’aria di essere una scusa, una furbizia, per poter continuare a finanziare le aziende della difesa. Non si capisce cosa c’entrino queste imprese con la ricerca medica o anche solo perché non ci si possa rivolgere ad altri settori produttivi”, sostiene Francesco Vignarca della Rete per il disarmo, che, chiarisce: “l’opinione pubblica ha ormai chiaro che la sicurezza non arriva dalle armi, quello che sta accadendo può essere un’occasione per riflettere sulle necessità di spesa”.
I bandi saranno attivi dal 15 aprile e si chiuderanno a fine 2020. Secondo le previsioni della Commissione sono gli ultimi di un ciclo, perché a partire dall’anno prossimo sarebbe dovuto entrato in funzione il discusso fondo per la difesa (EFD). Il nuovo programma aveva una previsione iniziale di tredici miliardi, nonostante i trattati dell’Ue indichino chiaramente che è vietato finanziare “operazioni che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa”. Ora, con i negoziati sul prossimo bilancio che si sono arenati ben prima della pandemia, e l’impegno alla lotta al Coronavirus, ogni progetto futuro dovrà essere nuovamente discusso. Le parole di Breton dimostrano però che la difesa rimane nelle priorità di Bruxelles, anche in tempi di crisi sanitaria. Una scelta non diversa da quanto accade in Italia dove la produzione degli F35 è stata considerata essenziale e si continua a lavorare ai cacciabombardieri nello stabilimento di Cameri.
Nonostante i fondi fossero già in previsione, l’annuncio dei finanziamenti alle industrie militari arriva in un momento molto difficile per l’Unione europea che fa fatica a proteggere la sua immagine. A poco è servito il lavoro della Commissione che ha messo in campo ogni strumento a sua disposizione: dalla sospensione del patto di stabilità, al via agli aiuti di stato, alla mobilitazione dei fondi residui, fino arrivare all’ultima proposta di aiuto alla cassa integrazione (Sure). A Bruxelles a farla da padrone continuano a essere gli egoismi nazionali, il Consiglio non è riuscito ad avere un accordo sulla reazione economica al coronavirus ed è servito a poco passare la palla all’Eurogruppo. I ministri delle finanze si riuniranno di nuovo oggi dopo il fallimento dell’incontro di martedì, nel quale sedici ore non sono state sufficienti a trovare un compromesso.