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Manovra 2025

“In manovra tagli alla spesa pubblica e stipendi impoveriti, il governo Meloni torna all’austerità”

Con la legge di bilancio per il 2025 inizierà un periodo di “sette anni di austerità”, ha detto il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari a Fanpage.it. Il governo Meloni, nell’incontro di mercoledì con i sindacati, ha fatto capire che nei prossimi anni ci saranno tagli alla spesa pubblica, finanziamenti insufficienti alla sanità, promesse tradite sulle pensioni e perdita di potere d’acquisto sugli stipendi pubblici.
Intervista a Christian Ferrari
Segretario confederale Cgil
A cura di Luca Pons
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La prossima legge di bilancio del governo Meloni si avvicina. Mercoledì, l'esecutivo ha incontrato i sindacati per presentargli il contenuto non della manovra, ma del documento che la precede e che segnerà i prossimi anni per l'Italia: il Piano strutturale di bilancio. È un programma che va presentato all'Europa e che contiene i passaggi che il governo intende seguire per sistemare i conti pubblici nei prossimi sette anni.

Christian Ferrari, segretario confederale Cgil, era presente all'incontro e ha risposto alle domande di Fanpage.it. Dal faccia a faccia con il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, sembrano essere uscite già alcune certezze sulla manovra per il 2025 e sulla linea del governo per il futuro: perdita di potere d'acquisto per i lavoratori, fondi insufficienti per la sanità e in generale tagli alla spesa pubblica. Un ritorno, insomma, alla "austerità" sperimentata dopo la crisi finanziaria.

Che anticipazioni vi ha dato il ministro sul prossimo anno?

In estrema sintesi, ha ammesso che la manovra sarà orientata a tagli di spesa per tutta la pubblica amministrazione, con "sacrifici non banali", e all'insegna – ha detto – "non dico del ritorno all'austerità, ma di una linea prudente e non espansiva per non mettere in difficoltà i difficili equilibri di finanza pubblica".

Si va verso una stagione di tagli, quindi?

Il nuovo patto di stabilità europeo, che noi abbiamo criticato duramente ma è stato avallato e condiviso dal governo Meloni, ci condanna a sette anni di austerità, a colpi di tagli da 12-13 miliardi all'anno. Peraltro l'austerità non funziona: non è un'opinione, ma ormai un fatto dimostrato. Comprime gli investimenti, i salari, l'occupazione e il Pil. Paradossalmente, aumenta anche il rapporto debito/Pil.

Il governo però insiste spesso che la situazione dell'Italia sia buona: Giorgia Meloni ha rivendicato più volte i dati sull'occupazione, Matteo Salvini ha ripetuto in più occasioni che l'Italia "cresce più di Francia e Germania". Mentono?

Diciamo che edulcorano la realtà. I fatti importanti sono altri. Siamo tornati a un Pil in crescita dello zero virgola, dopo il grande rimbalzo post-Covid. E questa crescita dipende interamente dall'attuazione di un Pnrr che è in gravissimo ritardo.

Veniamo da un periodo con altissima inflazione, che per il 70% è stata dovuta all'aumento di profitti, e ha falcidiato il potere d'acquisto di milioni di lavoratori e pensionati. Il governo ha lasciato correre: la farsa sugli extraprofitti l'abbiamo vista tutti. Intanto, il processo di de-industrializzazione va avanti nel nostro Paese da oltre due anni nel silenzio generale.

È un dato di fatto, però, che il numero di lavoratori sia aumentato parecchio dopo la pandemia. Non è positivo?

C'è poco da esultare. In realtà le ore lavorate stanno diminuendo, quindi il lavoro che si crea è precario. I salari reali calano. E tralascio il confronto con gli altri Paesi europei, su occupazione e partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Intanto perdiamo occupazione nell'industria e nei settori ad alto valore aggiunto e ne guadagniamo soltanto nei settori più arretrati e meno innovativi, come il terziario povero.

Ha citato gli stipendi: una delle novità previste è il rinnovo del taglio del cuneo fiscale. Diventerà strutturale già dall'anno prossimo?

Sì, la decontribuzione per i lavoratori con redditi sotto i 35mila e anche l'accorpamento delle prime due aliquote Irpef. Il ministro è stato chiaro: "Abbiamo intenzione non solo di rinnovarli, ma di confermarli in via strutturale già dal 2025".

Sempre in tema di salari, il governo ha detto che quelli pubblici aumenteranno in media del 2% all'anno nei prossimi sette anni. Questo è l'obiettivo, per stare al passo con l'inflazione. Non c'è nulla, però, per recuperare il potere d'acquisto perso negli ultimi anni?

No, ci hanno chiarito che non ci saranno altri fondi oltre a quelli annunciati. Nonostante siamo l'unico Paese in cui i salari reali sono ancora sotto del 7% rispetto al pre-Covid. E nonostante nel triennio 2022/2024 il governo abbia stanziato risorse per un incremento del 5,78% degli stipendi pubblici, a fronte di un'inflazione cumulata del 16,5%.

Che conseguenze ci saranno?

L'impoverimento brutale di oltre tre milioni di lavoratrici e lavoratori, che non riescono a recuperare nemmeno un terzo dell'inflazione che hanno subito. Invece aumentare i salari sarebbe positivo per l'economia: aumenterebbe la domanda interna, ci sarebbero maggiori entrate contributive e fiscali, e così si aiuterebbe anche il sistema pensionistico.

A proposito di pensioni, il governo non le ha menzionate nella sua nota sulla prossima manovra. Non ci saranno cambiamenti?

No, solo la conferma delle misure vigenti sulla flessibilità in uscita, quindi Quota 103, Opzione donna, Ape sociale, senza alcuna novità. A differenza degli anni scorsi, non si taglierà l'indicizzazione delle pensioni per gli assegni più alti. Ovviamente, sempre fatte salve eventuali decisioni diverse che arrivassero dalla discussione politica in Parlamento.

La rivalutazione sulla base dell'inflazione nel 2025 sarà uguale per tutti i pensionati, quindi, senza riduzioni?

Esatto. Va detto che quest'anno, visto che l'inflazione si è ridotta, l'impegno sulla rivalutazione è significativamente minore rispetto agli anni scorsi, quando era stata tagliata molto. Se lo possono "permettere", diciamo. Oltretutto immagino ci sia preoccupazione per il giudizio della Corte costituzionale che arriverà nelle prossime settimane sul tema.

Per il resto, siete delusi che non cambi la situazione attuale delle pensioni?

È un tradimento clamoroso delle promesse elettorali. Questo governo è andato in giro a chiedere i voti alle lavoratrici e i lavoratori promettendo il "superamento" della legge Fornero, e quando è andato al potere non solo non l'ha fatto, ma ha peggiorato la situazione. Fanno cassa sul sistema previdenziale. E intanto i giovani, le donne e i lavoratori più precari sono costretti alla prospettiva di andare in pensione da ultra settantenni e con assegni da fame.

Infine, il governo si è impegnato sulla sanità, a "tenere la spesa sopra all’1,5%" del Pil per i prossimi anni. È un obiettivo sufficiente?

È un atto simbolico che non cambia la sostanza di un Servizio sanitario nazionale che sta implodendo e ha finanziamenti insufficienti. La nostra spesa sanitaria, in rapporto al Pil, è tra le più basse nei Paesi occidentali. Noi abbiamo proposto che usino l'aumento di gettito fiscale.

In che senso?

Quest'anno, da gennaio a luglio, ci sono stati 9,3 miliardi di euro di entrate in più solo per l'Irpef. Si tratta di tasse versate da lavoratori e pensionati, mentre molti altri evadono. Abbiamo chiesto che queste maggiori tasse non dico ci vengano restituite, che sarebbero buona regola, ma che vadano ad aumentare il finanziamento della sanità pubblica. Altrimenti, se le usano ad esempio per finanziare il taglio del cuneo fiscale, praticamente ce lo paghiamo da soli.

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