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In Italia ci sono due milioni di disoccupati, aumenta anche il divario tra prezzi e stipendi

L’Istat registra una sostanziale stabilità della disoccupazione, mentre il numero di occupati sale rispetto al 2021. Aumenta, però, il divario tra prezzi e stipendi, con l’inflazione che divora il potere d’acquisto dei lavoratori italiani.
A cura di Tommaso Coluzzi
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Gli ultimi dati dell'Istat sul lavoro in Italia sono in miglioramento rispetto al passato, almeno in senso assoluto. Ma se si va a guardare nelle pieghe, e soprattutto se si fa un confronto con il mercato del lavoro di vent'anni fa, i campanelli d'allarme sono moltissimi. A dicembre 2022 il tasso di disoccupazione è stimato al 7,8%, stabile rispetto a novembre e in calo di un punto percentuale su dicembre 2021. Ciò significa che in Italia ci sono 1,96 milioni di disoccupati, 242mila in meno rispetto a un anno fa. Anche il dato relativo ai giovani è in calo, nonostante resti ancora altissimo: 22,1% con 4,1 punti in meno sull'anno. Resta il fatto, però, che oltre un giovane su cinque non riesce a trovare lavoro.

Gli occupati a dicembre sono 334mila in più rispetto allo stesso mese del 2021. Il numero assoluto è 23,2 milioni. Un dato così alto non si vedeva da giugno 2019, prima della pandemia di Covid. L'occupazione, però, cala nella fascia 25-34. E va anche considerato che dei 334mila occupati in più sull'anno, 296mila sono uomini. In totale le donne occupate sono 9,76 milioni a fronte di 13,45 milioni di uomini.

Il dato più allarmante riguarda i numeri assoluti nelle fasce d'età degli occupati: gli over 50 sono 9,15 milioni, mentre nella fascia 25-34 anni sono 4,1 milioni gli occupati. Praticamente meno della metà. Se consideriamo che nel 2004 gli occupati nella fascia più giovane erano 5,9 milioni, in rapporto agli ultracinquantenni che erano 4,89 milioni, non c'è bisogno di fare molte altre osservazioni. Oltre all'invecchiamento progressivo dei lavoratori, si pone anche un problema complessivo per la sostenibilità del sistema pensionistico.

Nel frattempo la forbice tra i prezzi e l'importo dei salari continua ad allargarsi. L'Istat, infatti, spiega che il divario tra la dinamica dei prezzi e quella delle retribuzioni contrattuali è salito a 7,6 punti percentuali, raggiungendo il valore più alto dal 2001. L'indice delle retribuzioni è aumentato in generale dell'1,1%, mentre la variazione dei prezzi è stata dell'8,7%. Insomma, l'inflazione continua a divorare il potere d'acquisto dei lavoratori e – guardando alle prospettive future – la situazione non può che peggiorare.

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