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“In Italia c’è troppa paura di perdere voti per parlare di cannabis”

Un decreto del ministro Schillaci ha stabilito che la Cbd, molecola non psicotropa presente nella cannabis, rientrerà tra le sostanze stupefacenti. Si tratta in realtà di una norma approvata già dal ministro Speranza nel governo Conte bis. L’associazione Meglio Legale ha commentato a Fanpage.it la decisione, le sue conseguenze pratiche e cosa c’è dietro a livello politico e culturale.
A cura di Luca Pons
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Il ministro della Salute del governo Meloni, Orazio Schillaci, con un decreto ha stabilito che il cannibidiolo (o Cbd) sarà considerato una sostanza stupefacente destinata all'uso medico. La norma in realtà risale al 2020, ma era stata sospesa un mese dopo l'approvazione dal ministro Speranza. Oggi come allora, ha scatenato reazioni in tutto il settore della canapa, colpito duramente a livello economico. Antonella Soldo, coordinatrice dell'associazione Meglio legale, ha spiegato a Fanpage.it cosa significa concretamente il provvedimento (che entrerà in vigore tra un mese) e perché non ha niente a che fare con il contrasto alle dipendenze, ma è legato ai pregiudizi sulla cannabis.

Partiamo dalle basi: cos'è il Cbd, a cosa serve e cosa c'entra con la cannabis?

Il Cbd è una molecola della pianta della cannabis che non ha effetti psicotropi, cioè stupefacenti, e non crea dipendenza. La molecola più nota della cannabis invece è il Thc, che dà effetti psicotropi e che può generare qualche problema se ne viene fatto un uso massiccio, soprattutto in età adolescenziale. Il Cbd ha proprietà infiammatorie, antiepilettiche, antiemetiche. Non è un oppiaceo. Si può dire che è quasi un antinfiammatorio naturale come l'aglio, ma molto più potente ed efficace.

Che conseguenze ha, concretamente, un decreto che inserisce il Cbd tra le sostanze stupefacenti?

Il problema è soprattutto per il settore di lavoratori, a cui finora è stato consentito di investire in ricerca scientifica, in laboratori, in marketing, tutto quello che c'è dietro la vendita di un prodotto come l'olio di Cbd. Oggi, con un colpo di spugna, questo settore viene minacciato di essere spazzato via. Non l'avremmo consentito per nessuna categoria: non i tassisti, non i balneari, non le grandi lobby ma nemmeno quelle piccole. Invece lo si consente per questo settore.

Perché?

Perché è considerato di Serie C, neanche di Serie B, per il fatto che tratta una sostanza che per alcuni somiglia troppo a qualcosa che vogliono vietare, alla "droga". E quindi c'è tanto pregiudizio e ignoranza, dannosi nei confronti di lavoratori e consumatori.

Quindi la questione è trattata in modo troppo moralistico?

Quando l'Ordine dei medici di Roma, per bocca del suo presidente il dottor Antonio Magi, dice che il Cbd è il "cavallo di Troia" di tutte le droghe, non sta facendo una valutazione scientifica. Non sta dicendo che è una sostanza stupefacente. Sta dicendo che va vietato per una questione morale, perché è riprovevole. Le istituzioni sono chiamate a fare il loro lavoro, non a moralizzare. E sono chiamate a gestire i problemi che effettivamente ci sono.

Quali sono questi problemi?

Ad esempio il consumo di stupefacenti che oggi è in mano al monopolio delle mafie. Questo sì che è un problema, ma visto che è troppo complicato da affrontare si preferisce la cosa più facile: restringere il commercio del Cbd, una mossa antiscientifica che si porterà dietro uno strascico di ricorsi infinito.

Come avvenne a ottobre 2020, quando questo decreto fu approvato la prima volta?

Sì, quando il ministro Roberto Speranza in pieno Covid trovò il tempo di fare il decreto. Il motivo è che dovevano registrare un nuovo medicinale, di una casa farmaceutica britannica: data l'occorrenza, colsero l'occasione di inserire la molecola del Cbd nella tabella delle sostanze stupefacenti. Allora ci fu un ricorso al Tar delle associazioni di categoria, e fu vinto. Speranza non ritirò il decreto, lo sospese. Quindi è stato facile per il ministro Schillaci tornarci e sollevare la sospensione.

Adesso si ripartirà con le contestazioni legali?

È probabile, sicuramente c'è già una sentenza della Corte europea di giustizia che dice che il Cbd prodotto in un Paese può circolare e essere venduto in tutti i Paesi dell'Unione.

Quindi – come ha lamentato Federcanapa – si penalizza la produzione italiana, ma non si può davvero limitare tutta la vendita?

Esatto, se io voglio acquistare del Cbd francese in Italia lo posso fare comunque. E questo creerà grossi problemi anche alle aziende italiane che esportano: se il Cbd è considerato una sostanza stupefacente, ci saranno una serie di autorizzazioni in più, che aumenteranno la lentezza e i costi delle procedure. In Italia ci sono anche delle eccellenze, ricercatori che hanno lavorato sul Cbd, aziende che esportano in tutto il mondo. Tutto sarà penalizzato.

Il decreto, come detto, era stato scritto sotto il governo Conte bis, dal ministro Speranza. Lei dice che nasce da un pregiudizio contro le sostanze legate alla cannabis. Questo pregiudizio va oltre i colori politici?

Il ministro Schillaci nel 2020 era uno dei membri dell'Istituto superiore di sanità [che quell'anno diede parere favorevole al decreto, ndr]. Era stato nominato in quel ruolo proprio dal ministro Speranza. Speranza ha sempre avuto un'impostazione proibizionista e conservatrice sulla cannabis, pur trovandosi in una coalizione che si presentava come progressista. Lo stesso per il presidente del M5s Giuseppe Conte: nonostante l'84% del suo elettorato sia favorevole alla legalizzazione (sono dati di un sondaggio Swg da noi commissionato), ha sempre avuto un certo timore a esprimere posizioni a favore. Per ragioni, forse, anche di mancata conoscenza della questione fino in fondo.

Manca, in generale, una conoscenza del tema in Italia?

Non se n'è mai parlato in modo serio e responsabile. È sempre stato un taboo, e sicuramente l'approfondimento non lo fai dallo spacciatore. Se lasci il tema alla criminalità organizzata, non è che organizzano dibattiti sui rischi e benefici della cannabis.

Ci si poteva aspettare che il governo Meloni tornasse a stringere sul Cbd, no?

Sì, ma è inutile dire che Schillaci fa parte di un governo di estrema destra. Ha solo tolto il velo su un decreto che veniva dai "progressisti". Politicamente, in Italia c'è mai stato un confronto. Ha sempre prevalso la paura di perdere voti.

Però la destra ha spesso avuto una linea dura su quella che viene presentata come lotta alle droghe.

Sì, il paradosso è che fino a ieri il Cbd era "droga", Salvini voleva chiudere i cannabis shop, Meloni ha messo la loro chiusura nel suo decalogo contro la droga. Oggi invece lo registrano come un medicinale che cura l'epilessia, ma che possono vendere solo le case farmaceutiche. A prezzi veramente elevati, peraltro.

Che differenza c'è nei prezzi?

Una boccetta da 100 ml del farmaco britannico di cui parlavo, approvato nel 2020, costa 1.700 euro. È un medicinale mutuabile, quindi il costo è a carico del Servizio sanitario nazionale. Invece 100 ml di Cbd italiano di altissima qualità, in media, costano circa 200 euro. La differenza non la fa la materia prima, ma tutte le procedure di autorizzazione e burocrazia

Non è un bene che ci siano regole chiare sui criteri da rispettare per produrre un medicinale?

Più regole non fanno mai male, purché siano razionali.

Quali regole sarebbero razionali?

Fissiamo una soglia come in Francia: sopra il 10% di Cbd una sostanza si considera un medicinale, sotto è un integratore. La Francia si è portata avanti perché in Europa per il momento è una zona grigia, così ha salvato il settore francese e ha anche consentito i prodotti di uso farmaceutico.

In Italia l'approccio è arretrato?

Ragioniamo con dei parametri che non esistono più, è come andare in giro con abiti medievali nel 2023. Non si può continuare a ragionare così. Negli Stati Uniti intanto, a livello federale, la cannabis (non il Cbd, proprio la marijuana) è stata inserita tra le sostanze a basso rischio. Un segnale così dagli Stati Uniti, che decenni fa è stato al centro della scrittura dei protocolli internazionali contro le droghe a cui si richiamano ancora oggi i proibizionisti nostrani, mostra lo smantellamento di quel sistema proibizionista. E poi le leggi sulle droghe hanno a che fare con la vita democratica di un Paese.

In che senso?

Le leggi più severe si trovano nei Paesi più antidemocratici. Così accade che una hostess italiana, fermata in Arabia Saudita con uno spinello, venga condannata a sei mesi di carcere. E non una parola dal nostro ministro degli Esteri Tajani. Una cosa indecente. Cosa sarebbe accaduta se fosse stata trovata in possesso di una bottiglia di birra, anche quella illegale? Salvini sarebbe già corso là a protestare…

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