Guerra in Ucraina

“In guerra insieme alla Russia, l’Ucraina va desertificata”: nel covo italiano dei discepoli di Dugin e Putin

Hanno “superato il fascismo”, inneggiano a un mondo fondato sulla tradizione e sull’ethnos. Venerano Putin e il filosofo russo più anti-liberale. In una cascina sul lago di Varese, la celebrazione della breve vita di Darya Dugina apre uno spaccato su paradossi e contraddizioni di chi sostiene il Cremlino da destra. Fanpage.it c’era.
A cura di Riccardo Amati
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“La Russia ha invaso l’Ucraina? Ma quando mai”? “La strage di Bucha? Una messinscena dei servizi inglesi: lo sanno tutti”. Mentre Euromaidan “fu un colpo di stato della Cia”. Ovvio. E se provi a controbattere citando qualche fatto, c’è chi ti dice che “siccome ti hanno vaccinato non hai più il cervello per capire”. Allora lasci perdere. Ma nel centinaio di “amici e consimili” — così si autodefiniscono — riunitisi alla Corte dei Brut di Gavirate, sul lago di Varese, non ci sono solo ricetrasmettitori passivi della propaganda del Cremlino, fascistoni e complottisti no-vax. C’è gente con cui, anche sulle idee più bislacche e pericolose, è possibile confrontarsi.

Presente la moglie di Gianluca Savoini, l’ex consigliere di Matteo Salvini invaghitosi di Putin e che prima del Metropol partecipava ai consessi della Corte dei Brut: la signora Irina è impegnata insieme alla Corte in progetti per aiuti umanitari nelle repubbliche del Donbass. Ovvero, di fatto, nella Federazione Russa. Assenti ufficiali i Fratelli d’Italia. “Conosco personalmente la Meloni”, dice Rainaldo Graziani, organizzatore dell’incontro. “Ora deve per forza aiutare l’Ucraina contro Mosca: a livello di premier e ministri a Roma si è obbligati a obbedire agli Usa. Il nostro è un Paese a sovranità limitata”, sostiene Graziani.

Il convegno per Darya Dugina

Il livello è alto. Si parla di filosofia e di poesia, si suona buona musica. Si ascoltano artisti di rango. Come il tenore Fausto Armiliato, giustamente famoso nel mondo per le grandi performance nell’Andrea Chénier e nelle opere di Puccini oltre che per il ruolo del “tenore sotto la doccia” nel film To Rome with Love di Woody Allen.

Negli intervalli e a cena i discorsi sono pacati. Niente slogan nostalgici, niente cori né tantomeno saluti romani, per intendersi. “Cose superate”, dicono i presenti. I simboli però non mancano. Nella notte, tra armonie che ricordano l’antica Grecia, sopra il palco sorge il sole nero del   misticismo neo-fascista. “Sole di mezzanotte” è anche un titolo del filosofo che qui va per la maggiore. Intanto, un video propone giochi di luce sulle due esse — rese maiuscole — della parola “solarsteinn”, la pietra usata dai vichinghi per navigare seguendo il sole tra le nuvole. Le esse somigliano a due numeri otto. Ma forse è solo suggestione.

Il luogo: un avamposto militare seicentesco trasformato in cascina e poi in ristorante, da oltre vent’anni punto di riferimento della destra radicale. Il padrone di casa: Rainaldo Graziani, figlio del leader di Ordine Nuovo Clemente Gaziani e fondatore del movimento Meridiano Zero, autoscioltosi subito dopo l’approvazione della legge Mancino contro i crimini d’odio. L’evento: una celebrazione della breve vita di Darya Dugina, l’intellettuale figlia del filosofo russo dell’eurasiatismo e della Quarta teoria politica Alexander Dugin, uccisa a 30 anni in un attentato terroristico il 20 agosto del 2022 nei sobborghi di Mosca.

“L’impossibilità di uccidere il futuro” è il titolo del simposio. Ma il futuro che gli “amici e consimili” di Graziani sognano ha parecchio a che vedere con il passato remoto: vi trionfano “il fronte della tradizione e la società patriarcale”,  si dice negli interventi del dibattito di apertura. Femminismo?  Identità di genere? Non scherziamo. È un “nuovo mondo organico”. E non importa se l’organicismo di nuovo ha davvero poco ed è anzi tipico dell’ordine feudale e del Medio Evo. Quando le gerarchie erano chiare e ognuno doveva starsene al suo posto.

In guerra con la Russia contro la modernità

D’altra parte, paradossi e contraddizioni sono in linea con i presupposti postmoderni delle idee anti-liberali e anti-occidentali di Dugin, che le contraddizioni non le teme e anzi volentieri se ne appropria. Allo stesso modo, i suoi adepti della alt-right nostrana non hanno remore. Così il multipolarismo propugnato in politica internazionale ha come portabandiera la Russia con il suo imperialismo messianico contrario alla modernità e impegnato ad imporre il “Russkiy Mir”, il “mondo russo”. Anche riconquistando fisicamente terre che furono degli zar e poi dell’Urss. Dugin ha detto e scritto che la multipolarità è “l’accettazione degli altri, di chi la pensa diversamente”. Però la cosa non vale per gli ucraini, considerati parte del mondo russo e “incapaci di costruire uno Stato”. “Piccoli russi” destinati ad esser “liberati” dai “grandi russi” di Mosca. Anche perché “l’Ucraina è il grimaldello dell’Occidente contro Putin”, si sottolinea in quel di Gavirate. Colpisce che non si senta mai pronunciare la parola “pace”, nell’happening dedicato a Darya. In un collegamento dalla repubblica di Lugansk un attivista dice che è in corso “la guerra conto il globalismo liberale”. Rende bene l’idea di quale sia l’atteggiamento qui.

Durante una pausa chiediamo a Maurizio Murelli, figura storica dell’estrema destra ed editore italiano di Dugin, cosa si può fare per la pace. Non risponde direttamente. Dice solo che Putin è fin troppo moderato: “La sua è solo un’operazione militare speciale”, spiega utilizzando il cliché della narrativa del Cremlino. “Se facesse una vera guerra, stile Nato, Kiev sarebbe già polverizzata”. Poi aggiunge che la soluzione potrebbe essere quella di “desertificare l’Ucraina”. Ma chiarisce subito che sta scherzando. Più in generale, piace che Putin sia andato “oltre”. Anche oltre l’Ucraina. Che abbia “oltrepassato il punto di non ritorno”, come ci dice Graziani. Nella lotta contro l’Occidente e la modernità vittoria o sconfitta potranno essere solo finali.

Oltre il fascismo?

Murelli e Graziani tre anni fa annunciarono di aver chiuso con il neofascismo e di essersi avvicinati al modello politico della “quarta teoria” di Dugin. In estrema sintesi, si tratta di un’ideologia che vuole integrare, superare e sostituire fascismo, comunismo e liberalismo democratico. Contrastando l’individualismo e la modernità in nome dell’ethnos, inteso come “comunità di lingua e religione” ed “entità organica”.

Secondo molti studiosi, si tratta di una teoria fascistoide che giustifica la politica interna ed estera del Cremlino e l’aggressione all’Ucraina: “Non che Dugin abbia mai influenzato direttamente Putin”, nota il politologo Anton Shekhovtsov a cui Fanpage.it ha chiesto un commento dopo la serata alla Corte dei Brut. “Ma è molto ascoltato negli ambienti moscoviti della Difesa . E sì, è un filosofo fascista: in particolare è fascista il suo eurasiatismo, che permea la “quarta teoria”.

L’eurasiatismo esalta il dissidio tra Occidente “neo-liberale” e Russia, suppone la superiorità spirituale e culturale “asiatica” dell’ethnos russo e ipotizza una dittatura di Mosca sul mega-continente con totale controllo ideologico sulla società. Shekhovtsov, autore di Russia and the Western Far Right: Tango Noir (2017), è considerato il maggior studioso dei rapporti fra la Russia di Putin e la destra radicale europea. Rainaldo Graziani è un ospite impeccabile e generoso che accetta di parlare a lungo con chi non la pensa come lui. Gli chiediamo se è fascista. “Il fascismo per noi è una cosa emozionale”, risponde. “Lo abbiamo inglobato e lo superiamo, in una logica di consenso. Non deviamo:  andiamo oltre”. E i simboli? Il sole nero, le rune? Non è roba da neo-nazisti, Rainaldo? “Eccoci alla cancel culture delle ‘società aperte’”, replica. “La croce celtica, per esempio, ha più di mille anni. È stata utilizzata come simbolo politico dagli irredentisti irlandesi. E poi anche da organizzazioni di destra, come il Fronte della gioventù. E solo per questo andrebbe cancellata dalla faccia della terra”?

La Lady D dei rossobruni

Quando sullo schermo appoggiato a balle di paglia sul solaio della cascina appare l’immagine del filosofo collegato da Mosca, nella corte ombreggiata da melograni e oleandri che mitigano il caldo atroce parte convinto l’applauso. Dugin parla poco dei massimi sistemi. Parla da padre. Ringrazia gli amici italiani che ricordano la sua figlia uccisa. Poco prima, sul palco, Darya Dugina era stata definita dagli apostoli del multipolarismo “la nostra Lady D”, “stella del mondo multipolare”, “signora della tradizione”. E paragonata a Ipazia d’Alessandria, la filosofa del IV secolo uccisa per le sue idee. “È chiaro il tentativo di creare un mito e Dugin spinge in questa direzione”, è il commento di Shekovstov quando gli raccontiamo l’evento. Che ha momenti toccanti: Darya viene “trasformata in arte” grazie a performance musicali e poetiche in omaggio alle sue passioni.

In realtà Darya Dugina non era Ipazia. Con ogni probabilità il vero obiettivo dell’attentato in cui ha perso la vita era il padre. E comunque Ipazia, per quanto se ne sa, fu una vittima del fanatismo religioso e una martire laica del pensiero scientifico. Le idee di Darya erano simili a quelle del genitore, che non ci sembrano né laiche né scientifiche. Soprattutto, al contrario di Ipazia, Darya non ha avuto tempo. Era bella, elegante, intelligente. Appassionata di musica (anche elettronica), poesia e filosofia. In particolare, del neo-platonismo. Che poi è all’origine dell’umanesimo, tipico della cultura occidentale e lontano dallo spiritualismo ascetico, dai canoni e dai riti dell’ortodossia russa, architrave del pensiero duginiano. Curiosa del mondo, Darya per un periodo era andata a studiare in Francia. Solo negli ultimi anni era entrata, per così dire, nel business di famiglia, schierandosi con le idee ultra-tradizionaliste del padre. Si firmava Darya Platonova. Non meritava la fine che ha fatto. Come non l’avrebbe meritata Dugin, se era lui il bersaglio. Padre e figlia non sono mai stati dei Goebbels. Non hanno mai fatto formalmente parte del regime.

Le loro idee possono essere pessime e odiose. Ma sono idee. Non ne facevano obbiettivi legittimi nella guerra in corso. Ammesso che gli attentatori, come sembra oggi plausibile, fossero ucraini o partigiani russi anti-Putin. Quando gli chiediamo di commentare una dichiarazione di Darya Dugina che giustificava i talebani e il trattamento delle donne in Afghanistan, Murelli ci spiega che anche quella dei talebani è una cultura che merita di esser rispettata e di avere un suo sviluppo naturale. È la teoria duginiana dell’ethos. Il rischio è che una teoria così possa giustificare qualsiasi carognata.

Il guazzabuglio pro-Putin

Ma la vera grande carognata, dice Murelli, è ciò che l’Ucraina ha fatto al Donbass: “Per otto anni Kiev lo ha bombardato, ammazzando 14mila persone”. È una fake news ricorrente: la cifra è effettivamente quella fornita dall’Alto commissariato Onu per i diritti umani. Però comprende i morti di entrambi i contendenti i. I civili uccisi, da una parte e dall’altra, sono 3,400. Quasi 200  solo nella strage del volo MH17, abbattuto da un missile Buk russo — ha stabilito la Corte distrettuale dell’Aja. Lo spieghiamo al nostro interlocutore. Non ci crede.

È lo stesso tipo di bufale quotidianamente propinato dai “pacifisti” pro-russi di estrema sinistra. Va molto di moda, anche qui, quella dei biolaboratori Nato in Ucraina. Chiediamo a Murelli se non sia imbarazzante, con le sue origini politiche, trovarsi dalla stessa parte dei “comunisti” e avere argomenti — in questo caso falsi — simili ai loro. Risponde che tutta la sinistra e l’estrema sinistra stanno con gli ucraini, e che lo trova “abominevole”. Inutile contestare.

Gli “amici e consimili” della Corte dei Brut hanno comunque una loro coerenza, visto da dove vengono. Dugin o non Dugin, fatto sta che sostengono un regime che ha molti tratti in comune col fascismo. Timothy Sneyder, studioso dei totalitarismi, ne ha indicati alcuni in un famoso articolo: culto del leader; culto dei caduti; mito di una passata grandezza imperiale da ricostituire con una guerra salvifica. E si potrebbe andare avanti. Comprensibile che per chi ha una storia legata all’estrema destra tutto questo sia attraente.

Poco comprensibile è piuttosto chi il regime sempre più fascistizzato di Putin lo sostiene da sinistra. Direttamente o meno. Inneggiando a un pacifismo forse nobile ma mal riposto. Come se a Mosca ci fosse ancora la Terza Internazionale a preparare la rivoluzione mondiale contro il capitalismo. E non vi regnassero invece una tragica parodia del capitalismo stesso e una raffazzonata ideologia imperialista. Come se la Russia di Putin non fosse l’opposto del socialismo, con il record mondiale della diseguaglianza e delle differenze di reddito. Alla Corte dei Brut si è altrettanto illusi e forse più brutti e cattivi. Ma meno ipocriti.

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