Ilva, scudo penale divide il governo. Di Maio: “È un distrattore di massa”. Delrio: “Va approvato”
La vicenda dell'ex Ilva di Taranto è ancora in cerca di soluzione. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ieri, durante la visita allo stabilimento della città pugliese, ha spiegato di non "avere una soluzione in tasca", anche se "qualsiasi situazione può diventare anche una opportunità" e ha ricordato che è aperto 24 ore su 24 un gabinetto di crisi sulla questione.
La nazionalizzazione, una delle ipotesi in campo per far fronte all'intenzione della multinazionale franco-indiana Arcelor Mittal di rescindere il contratto d'affitto e uscire dal gruppo, è una questione che divide la politica. L'ipotesi rilanciata dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Francesco Boccia, che potrebbe essere bocciata dall'Unione europea, non piace al titolare del Mef Roberto Gualtieri, che da Bruxelles afferma che l'unica opzione al momento è quella di "far tornare ArcelorMittal, che deve mantenere gli impegni". E se i sindacati, con il leader della Cgil Maurizio Landini ritengono plausibile un coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti "al 20 o al 30 per cento", il ministro degli Esteri pentastellato Luigi Di Maio, ribadisce che ArcelorMittal non può tirarsi fuori.
Dalla riunione tra il capo politico del Movimento cinque stelle e il gruppo dirigente pentastellato, e gli altri ministri del governo, sarebbe emersa la linea di una non praticabilità della reintroduzione in Parlamento dello scudo penale. Secondo Di Maio Arcelor Mittal ha fatto sapere che intende licenziare 5000 dipendenti dallo stabilimento di Taranto anche con lo scudo penale, quindi questa tema è solo un "distrattore di massa".
Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, rivolgendosi a Di Maio, ha detto invece che l'immunità per l'azienda andrebbe reintrodotta: "Se, come è vero, la questione è lo scudo, lo rimettano quanto prima. Bisogna capire se questa operazione è nell'interesse del Paese, un Paese che quando arriva un investitore si siede al tavolo, capisce le ragioni e trova un punto di equilibrio".
La stessa posizione di Graziano Delrio (Pd): "Noi adesso dobbiamo pretendere che l'azienda rispetti gli accordi presi e che non si nasconda dietro a finte motivazioni, che prosegua con il piano industriale e con quello di risanamento ambientale. Prima di tutto vengono i posti di lavoro: non possiamo e non vogliamo perderne nemmeno uno. Questa deve essere la priorità qualsiasi piega prendano le trattative con Arcelor. Certamente se non ci sarà modo di andare avanti, è da valutare anche l'ipotesi di nazionalizzazione. Però ripeto prima bisogna giocare fino in fondo questa partita con Arcelor. Non è pensabile – ne va anche della sovranità nazionale – che noi perdiamo la più grande acciaieria di Europa. Lo Stato deve farsi valere con tutte le forme e con tutti i mezzi", ha detto il capogruppo del Pd alla Camera, in un'intervista al ‘Corriere della Sera'.
Quando allo scudo penale "è stato un errore offrire questo pretesto, però non è quello il tema: l'azienda già da tempo meditava di sfilarsi. Comunque all'errore fatto si può rimediare facilmente facendo una norma di carattere generale che preveda che chi fa operazioni di risanamento ambientale non può e non deve essere perseguibile. Ma sappiamo tutti che alla ditta non interessa portare a casa lo scudo, ma ridurre la produzione, smettere di gestire l'altoforno 2 e tagliare i lavoratori. Comunque, io sto a quello che hanno detto il presidente del Consiglio e il ministro dello Sviluppo. E cioè che si può fare di tutto per salvare questa fabbrica incluso il fatto di studiare una norma più generale rispetto alla precedente. E infatti avevo preparato un emendamento in questo senso ma l'abbiamo congelato perché è molto meglio che lo faccia il governo, così diventa immediatamente esecutivo".
"Io credo – conclude Delrio riferendosi alla posizione dei Cinquestelle – che non sia un problema approvare una norma del genere perché se lo fosse saremmo veramente dei pazzi, perché non si può mettere sullo stesso piano il destino di ventimila lavoratori e un emendamentino".