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Il vino dealcolato è un “orrore”: la nuova crociata del duo Lollobrigida-Coldiretti, contro le aziende italiane

Dal 2021 è in vigore un regolamento Ue che disciplina la produzione del vino dealcolato, quello cioè a cui è stata sottratta la componente alcolica. Fino a oggi però, a causa anche dell’opposizione di Coldiretti, il ministero dell’Agricoltura guidato da Francesco Lollobrigida non ha dato seguito alla normativa europea. Intanto però la domanda di prodotti alcol free è in continua crescita, soprattutto tra le nuove generazioni e le nostre etichette rischiano di perdere terreno su questo mercato, rispetto agli altri Paesi produttori.
A cura di Marco Billeci
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di Marco Billeci e Luigi Scarano 

Ad inizio ottobre 2022, Coldiretti organizza al Parco Sempione di Milano uno dei suoi Villaggi Contadini. La kermesse segna, tra l'altro, la prima uscita pubblica di Giorgia Meloni, dopo la vittoria elettorale delle politiche. Ed è il prologo del patto di ferro, che il suo governo stringerà con la principale associazione degli agricoltori italiani. Al Villaggio di Milano c'è tra le altre cose un'esposizione, intitolata "Gli Orrori della Tavola". Qui, tra la farina d'insetti e la carne in provetta, si trova in mostra anche il vino dealcolato. Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini lo ha definito: "un precedente pericolosissimo, rappresenta il grosso rischio che venga omologata al ribasso una produzione d'eccellenza italiana, come il vino".  Come in molte altre occasioni, il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida si accoderà poi alla narrazione di Coldiretti e diventerà per lungo tempo un pasdaran, davanti alla ‘minaccia' del dealcolato. Ma le cose stanno davvero come le descrivono Prandini e Lollobrigida?

Martin Foradori Hofstätter viene da una storica tradizione di viticoltori altoatesini, che dura da quattro generazioni. La sua ‘fedeltà' al vino italiano d'eccellenza è indiscutibile. Però, come dice lui, "anche se rimango attaccato all'alcol e spero di continuare a farlo, mio padre mi ha insegnato a tenere gli occhi e le orecchie sempre aperti". Così, quattro anni fa, Hofstätter si è accorto che il consumo del vino stava cambiando e accanto alle bottiglie ‘tradizionali' ha iniziato a produrre anche vino  e spumante dealcolati. Oggi questa produzione vale più di 100mila unità vendute all'anno ed è in continua crescita. Il dealcolato Hofstätter lo produce in Germania per poi venderlo, soprattutto in Italia. Nella sua azienda a Termano, in Alto Adige, invece non può farlo, perché le leggi italiane non lo consentono. Dice l'imprenditore, "quella della politica italiana è una forma di autolesionismo senza confini. Sull'altare sacro del vino, si sta sacrificando una possibilità economica per le aziende italiane, trascurando importanti esigenze di mercato".

Cos'è il vino dealcolato

A questo punto, tocca fermarsi un attimo e spiegare di cosa stiamo parlando. Il vino dealcolato non è un succo d'uva, come da più parti si è cercato di far credere, creando una certa confusione. Si tratta invece di una bevanda ottenuta partendo dal processo tradizionale di vinificazione e sottraendo in un secondo momento – del tutto o in parte – la componente alcolica, tramite diverse tecniche, principalmente con la distillazione. Per lungo tempo si è dibattuto se un prodotto del genere potesse essere denominato vino. Ancora il 15 aprile 2024, intervenendo sul tema all'apertura del Vinitaly a Verona, il ministro Lollobrigida tuonava: "Non chiamiamolo vino!"

In realtà, sul fatto che il dealcolato possa essere chiamato vino non ci sono dubbi, perché così stabilisce un Regolamento dell'Unione europea del 2021. Il Regolamento (vincolante per gli Stati membri) sancisce principi e criteri per la produzione e la commercializzazione del vino dealcolato. Ma lascia alla giurisdizione dei singoli governi nazionali la definizione degli aspetti di loro competenza, primo tra tutti quello fiscale. Un punto che coinvolge, tra l'altro, il trattamento da riservare al liquido residuo, ottenuto dal processo di dealcolazione. E qui casca l'asino. Senza addentrarsi nei dettagli tecnici della discussione, basti dire che il governo italiano non ha ancora normato la materia, rendendo così di fatto impossibile, per le aziende italiane, produrre vino dealcolato sul nostro territorio.

Da almeno un anno, una bozza di legge sull'argomento è chiusa nei cassetti del ministero dell'Agricoltura. Chi ha letto il testo lo giudica migliorabile su diversi aspetti, ma comunque una buona base di partenza, per sbloccare la situazione. Fonti interne al Masaf però sostengono che fino a oggi le pressioni dei soggetti – Coldiretti in primis – contrari tout court al dealcolato abbiano bloccato ogni tipo di confronto. D'altra parte, sempre a margine del Vinitaly, Lollobrigida aveva affermato che il vino alcol free "può aprire fette di mercato però rischia di chiuderne altre, che sono alla base della storia del nostro Paese". Anche nel mondo dei viticoltori italiani, tuttavia, in tanti la pensano diversamente.

Un'offerta per la generazione Z

L'Unione Italiana Vini (Uiv) è stata una delle prime associazioni di categoria a dar voce alle aziende che reclamano la possibilità di produrre dealcolato, anche in Italia. Dice a Fanpage.it il segretario generale di Uiv Paolo Castelletti: "Il vino dealcolato non andrà mai a rubare quote di mercato a quello tradizionale, perché risponde a esigenze di mercato che sono profondamente diverse". E prosegue: "c'è oggi una platea che va verso il consumo di prodotti meno alcolici o addirittura non alcolici, per varie motivazioni di tipo salutistico o religioso". Insomma, secondo questa analisi, il vino dealcolato non sarebbe un concorrente di quello classico, ma permetterebbe di ampliare il numero di consumatori, coinvolgendo chi per diversi motivi al momento non può o non vuole bere alcol. Basti pensare alla popolazione di religione islamica, dentro e fuori dall'Italia. Ma soprattutto alla cosiddetta generazione Z.

Secondo una ricerca di Swg presentata insieme all'Unione Italiana Vini nel corso del Vinitaly 2024, il 36 percento degli italiani sarebbe interessato alle bevande dealcolate. Tra questa platea, il 51 percento è nato tra la fine degli anni '90 e il 2010. Fra le motivazioni della scelta, in testa c'è la possibilità di guidare alla fine di una serata, seguita dall'opportunità di godere dell'aperitivo senza consumare alcol e dal poter bere assumendo meno calorie. Queste tendenze  sono confermate dai riscontri sul mercato statunitense, il primo a segnare la svolta in direzione del consumo alcol free. Secondo Martin Hofstätter, il trend si è manifestato anche nel corso dell'ultima kermesse veronese: "mentre prima eravamo noi a proporre il prodotto, quest'anno c'era la gente che ci cercava e questo è un segnale molto positivo".

Al momento, l'unica opzione per le aziende italiane che vogliono commerciare dealcolato nel nostro Paese  rimane quella di portare il vino fuori confine, lì estrarre l'alcol e procedere al confezionamento, per poi riportare il prodotto in Italia  e venderlo. Questa procedura comporta ovviamente un notevole aumento dei costi, con il risultato di rendere le nostre  etichette meno competitive rispetto a quelle dei partner europei, che sul tema sono molto più avanti, come Francia, Germania o Spagna. Con il rischio di rendere irrecuperabile il terreno perso, anche nell'ambito dell'export fuori dall'Ue. Peraltro, in questo modo viene negata la possibilità di provare a utilizzare la quantità non trascurabile di vino invenduto, che rimane nelle cantine dei nostri produttori.

Il tavolo al ministero

L'11 luglio 2024, parlando all'assemblea dell'Unione Italiana Vini a Roma, il ministro Lollobrigida è sembrato tornare parzialmente sui propri passi e ha annunciato l'apertura di un tavolo tecnico al ministero sul vino dealcolato. La prima convocazione del tavolo dovrebbe arrivare a settembre. Il segretario generale di Uiv Paolo Castelletti ha accolto favorevolmente l'apertura di Lollobrigida: "Mi sembra che molte questioni siano state comprese. Motivo per il quale io sono fiducioso". Martin Hofstätter invece rimane scettico: "Non è un tema nato nelle ultime settimane, ne stiamo discutendo da anni". Secondo Castelletti, però, ora si è arrivati a un punto di svolta: "Credo che ci fosse  una riserva di tipo ideologico. Poi in realtà iniziando ad assaggiare prodotti nell'ultimo anno, quando anche la tecnologia ha fatto passi da gigante, ci si è resi conto che i dealcolati  non sono male. E soprattutto rispondono a una richiesta del mercato, che il mondo del vino non riuscirebbe comunque a soddisfare".

In attesa dell'inizio del confronto al ministero, è facile immaginare che l'atteggiamento di Coldiretti peserà non poco sulla possibilità di arrivare a una soluzione della querelle. Nel frattempo, rimane sospesa la stessa domanda che vale per le altre crociate di Lollobrigida, contro la presunta invasione di nuovi prodotti sulle tavole degli italiani. E cioè, perché no? Perché lo Stato deve decidere cosa i suoi cittadini devono mangiare o bere, senza dare loro la possibilità di scegliere? E perché negare alle aziende nostrane che lo volessero la possibilità di misurarsi con nuovi prodotti, contribuendo anche allo sviluppo della tecnologia in materia? Al ministro, l'onere di dare una risposta.

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