Il vero obiettivo dell’autonomia differenziata è regionalizzare la scuola (e non è una buona notizia)
Venerdì partirà una raccolta firme per presentare una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare contro il progetto di ‘autonomia differenziata', un disegno che viene da un lungo percorso – oggi appoggiato dal governo Meloni, Lega in testa – e che ha visto in questi anni impegnate soprattutto le Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. La raccolta firme verrà effettuata attraverso una piattaforma digitale e tramite moduli cartacei.
Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, presieduto dal professore di Diritto Costituzionale dell'Università di Napoli Federico II, Massimo Villone, ha scritto, con la collaborazione di un team di esperti, un testo di legge che modificherebbe gli articoli 116 e 117 della Costituzione, che metterebbe un argine all'autonomia differenziata. L'idea è quella di introdurre una clausola di supremazia della legge statale, e di spostare alcune materie di potestà legislativa concorrente "alla potestà esclusiva dello Stato".
Nel dettaglio, con la modifica dell'articolo 116, si vorrebbe porre un vincolo alla richiesta di autonomia, lasciando la possibilità di concederla solo su alcuni aspetti marginali e limitati, e solo se "giustificata dalla specificità del territorio". Inoltre verrebbe esclusa la possibilità di una generica legge quadro in ambito nazionale, che lasci sostanzialmente carta bianca per le intese bilateri Stato-Regioni, con un Parlamento quasi totalmente escluso.
L'articolo 116, comma 3, della Costituzione è sostituito dal seguente:
Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e giustificate dalle specificità del territorio, possono essere attribuite ad altre Regioni , con legge dello Stato approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sentiti la Regione e gli enti locali interessati, nel rispetto dell'interesse delle altre Regioni e dei principi di cui agli articoli 117 e 119. La legge è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. La legge promulgata ed entrata in vigore può essere sottoposta a referendum abrogativo secondo le modalità e con gli effetti previsti dalla legge di attuazione dell'articolo 75.
Per quanto riguarda invece la potestà legislativa, si interviene sull'articolo 117 della Costituzione, specificando che sanità, istruzione, ed infrastrutture devono restare materie di competenza esclusiva dello Stato. Questa in sintesi la proposta, presentata questa mattina a in piazza Monte Citorio, alla presenza dei sindacati della scuola. Perché è sull'istruzione che si apre la vera partita dei prossimi mesi: proprio la scuola sarebbe il principale campo di applicazione dell'esperimento autonomia differenziata, il settore in cui di più si vedrebbero i danni.
Lo spiega bene il professor Massimo Villone, secondo cui il vero interesse di chi spinge verso l'autonomia è la scuola, per almeno tre ragioni: "Il primo è un motivo identitario: il Veneto vuole avere la scuola veneta per intenderci. Il secondo motivo sono le risorse. È vero che con l'autonomia differenziata non si spende un euro in più, ma il problema non è soltanto quanto si spende, ma anche chi gestisce i quattrini. Il terzo motivo, che è anche quello più importante, è la possibilità di avere un esercito di gestori del consenso. Se si sposta la scuola in una dimensione regionale, il ceto politico elettorale acquista un esercito di gestori del consenso che entra direttamente nelle famiglie, perché ha un rapporto privilegiato con i ragazzi e con le ragazze. Per questo è uno strumento importantissimo. Questo ci dice anche che se parte una Regione con l'autonomia della scuola, anche le altre vorranno seguirla, perché nessuno vorrà rischiare di perdere le condizioni di una competitività di sistema".
Quali sono i rischi per la scuola
I sindacati per la scuola hanno partecipato questa mattina all'incontro: per i rappresentanti delle principali sigle sindacali, Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola Rua, Snals Confsal e Gilda Unams, le conseguenze della regionalizzazione della scuola sarebbero devastanti. Il contratto collettivo nazionale sarebbe un ricordo, si andrebbe avanti con intese regionali, creando un vero e proprio "dumping" salariale nel Paese.
Il problema del reclutamento poi non è di poco conto. Al momento le assunzioni vengono fatte con concorsi pubblici: chi fa domanda può utilizzare la propria abilitazione in tutte le Regioni d'Italia. È evidente che ricalibrare il reclutamento e il collocamento del personale a livello regionale limiterebbe le opportunità del lavoratore della scuola, riducendole a una dimensione localistica. Chi per esempio lavora al Comune di Firenze non potrebbe andare a lavorare a Bari, senza sottoporsi a una nuova selezione.
E poi c'è il tema del Pnrr. L'Italia con la missione 4 si è aggiudicata 20 miliardi di euro destinati a Istruzione e Ricerca. Per ottenere queste risorse uno dei traguardi richiesti è il superamento dei divari territoriali. Tutto ciò sarebbe in netto contrasto con una politica differenziata del sistema dell'istruzione.
Cosa pensano i sindacati della scuola dell'autonomia differenziata
"Ci siamo mossi perché i sindacati si occupano di contratti, ci preoccupa moltissimo che la nostra base passi da un contratto nazionale a 20 contratti regionali – ha detto a Fanpage.it Rino Di Meglio, coordinatore nazionale Gilda Unams – Una categoria che già oggi non è fortissima si indebolirebbe tanto. Anche i criteri di selezione potrebbero diventare discrezionali, perché ognuno si assumerebbe i suoi. E poi siamo preoccupati anche per gli alunni: non vedo per quale motivo un alunno del Veneto dovrebbe avere un'istruzione dell'obbligo diversa da quella della Sicilia. Il presidente Zaia ha detto che le scuole venete sono andate molto bene nelle Prove nazionali INVALSI, con risultati migliori rispetto ad altre zone d'Italia. A me fa molto piacere, ma bisogna precisare che quella non è la scuola del Veneto ma la scuola statale. E poi dobbiamo fare in modo che anche gli alunni delle altre Regioni possano essere altrettanto bravi".
Francesco Sinopoli, segretario generale FLC Cgil, ha spiegato perché l'attribuzione alle Regioni delle competenze sull'istruzione sarebbe deleterio per il nostro sistema scolastico: "Siamo sempre stati contrari alla regionalizzazione dell'istruzione. Avevamo già proclamato uno sciopero generale di tutti i settori dell'istruzione e della ricerca nel 2019, che poi non si tenne perché il presidente del Consiglio Conte ci convocò a Palazzo Chigi per proporre un accordo, in cui noi avevamo fatto inserire un titolo specifico che escludesse la regionalizzazione dell'istruzione. Dopo la fase acuta della pandemia ci saremmo aspettati che si facesse un bilancio di quanto accaduto in quei mesi per la scuola, con l'evidente accentuarsi delle diseguaglianze territoriali, con il protagonismo inaccettabile dei governatori. Non ci saremmo mai immaginati che nel dibattito pubblico si potesse tornare a parlare di regionalizzazione dell'istruzione".
"Le Regioni più ricche avrebbero le risorse per affrontare alcune delle criticità del sistema dell'istruzione – ha detto Sinopoli ai microfoni di Fanpage.it – mentre le Regioni più deboli si troverebbero ancora più in difficoltà. Il bilancio della scuola pubblica è uno dei capitoli principali del bilancio dello Stato, ed è evidente che se venisse devoluto alle Regioni in questo momento quella solidarietà che caratterizza un sistema già in grande difficoltà si incrinerebbe ancora di più. Noi abbiamo un grande problema, che è quello dello spopolamento del Mezzogiorno, che andrebbe combattuto rafforzando il radicamento della scuola, investendo sul tempo scuola dove non c'è: se continuiamo a ridurre gli organici non si potrà arrivare a un aumento del tempo scuola, che è prioritario".
"La scuola pubblica statale è un perno per tenere insieme il Paese. Diversamente noi torneremmo ad avere i Comuni, le contrade le Regioni, i campanili, che già ci sono e che facciamo fatica a superare culturalmente. Serve ricomporre le differenze dentro a un quadro unitario – ha detto Ivana Barbacci, segretaria generale Cisl Scuola – Non abbiamo bisogno di chiuderci ognuno nella propria Regione, per difendere e valorizzare il territorio, possiamo farlo benissimo all'interno della nostra scuola autonoma, in una visione unitaria, pur tenendo presenti le caratterizzazioni locali. Ma questo non significa scambiare il dialetto veneto con la lingua italiana".
"Vogliamo mettere in sicurezza la scuola, per fare in modo che il sistema dell'istruzione non sia oggetto di incursioni, che a seconda della stagione tornano a ribadire una certa esigenza di diversificazione", ha aggiunto Barbacci nel suo intervento.
Perché una proposta di legge contro l'autonomia differenziata proprio ora?
L'iniziativa del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, ci tengono a sottolineare i promotori della proposta di legge, non ha alcun colore politico, e non è pensata come azione di contrasto al governo attuale, da poco insediatosi.
L'incontro di questa mattina è frutto di una discussione che parte da lontano: dopo l'approvazione della riforma del titolo V nel 2001, una tappa fondamentale per l'autonomia è stata febbraio del 2018, quando vennero approvate delle intese provvisorie, dei preaccordi, tra l'allora governo Gentiloni e tre Regioni, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Il dibattito si è avviato in quel momento e si è snodato nel tempo: "Prima c'è stata la ministra per gli affari regionali e le autonomie Stefani, che su impulso del governatore del Veneto Zaia voleva concedere tutto; poi si è passati dal ministro Boccia, che ha inventato la legge quadro, e dalla ministra Gelmini", ha spiegato il professor Villone. "Vogliamo fare chiarezza con una raccolta di firme che giunga in Parlamento, con una proposta sulla quale le forze politiche si dovranno pronunciare", ha spiegato Villone a Fanpage.it.
Il rischio delle corsa verso l'autonomia differenziata è quello di una eccessiva regionalizzazione e frammentazione dell'istruzione. Ma non solo.
"Il Veneto per esempio chiede la regionalizzazione in tutte le materie di potestà legislativa concorrente. Non solo istruzione, ma anche lavoro, sicurezza nel lavoro, ambiente, gestione del territorio, energia, reti di comunicazione e di trasporto nazionali – ha spiegato a Fanpage.it il professor Villone – Per dare un'idea, nella richiesta del Veneto c'è proprio la regionalizzazione di porti, aeroporti, autostrade, ferrovie. Questo significa in sostanza che ogni Regione si farebbe la sua ferrovia ad alta velocità o il suo sistema di porti. Quindi politiche nazionali di sistema Paese su certe questioni strategiche non si riuscirebbero più a fare, e questo inciderebbe anche sulle imprese. Per esempio per quanto riguarda l'ambiente, se ci fossero 20 legislazioni regionali come si potrebbe giocare la competitività all'interno del Paese? Tutto questo si trova nelle carte ufficiali di queste Regioni del Nord, che lo chiedono già oggi".