Il sistema Cie ha già fallito: è solo l’ennesima operazione sulla pelle dei migranti
Il 2017 si è aperto con il ritorno nel dibattito pubblico dei Cie, i centri di identificazione ed espulsione per i migranti. Il tema è riapparso in seguito a una circolare diramata a cavallo di Capodanno dal capo della polizia Franco Gabrielli, che annunciava piani straordinari di controllo del territorio nei confronti degli irregolari. La stretta sui migranti prevede un invito a tutti i prefetti e i questori a predisporre un piano "di rintraccio" degli immigrati illegali, che vanno portati nei Cie e rimpatriati, "attraverso una specifica attività di controllo delle diverse forze di polizia". Secondo la circolare, "il controllo e l’allontanamento degli stranieri irregolari" consentirà di "intercettare fenomeni di sfruttamento e di inquinamento dell’economia collegati a forme di criminalità organizzata" e varrà anche come "prevenzione e contrasto nell’attuale contesto di crisi".
La circolare di Gabrielli farebbe parte di una strategia più ampia prevista dal neo ministro dell'Interno, Marco Minniti, che nel corso dell'ultimo comitato per la sicurezza a Milano qualche giorno fa ha palesato l'intenzione di affrontare in maniera "muscolare" la gestione dei migranti irregolari. L'obiettivo del Viminale sarebbe quello di raddoppiare nel 2017 i rimpatri di coloro che si trovano senza titolo per restare nel nostro paese. Per farlo, ci si rivolge nuovamente al sistema Cie, prevedendo l'apertura di un centro in ogni regione d'Italia. Eppure, quello dei Cie è un modello che aveva già mostrato tutte le sue debolezze.
Cosa sono i Cie
Originariamente denominate Cpta, centri di permanenza temporanea e assistenza, queste strutture sono state istituite nel 1998 con la legge Turco-Napolitano, poi modificata dalla Bossi-Fini e da altre successive. Il senso dei Cie è quello di "ospitare" gli stranieri senza permesso di soggiorno, quando per diverse ragioni, tra cui l'identificazione, non è possibile immediatamente l'espulsione. Nel variegato universo delle sigle dedicate ai centri per migranti nel nostro paese, i Cie sono quelli che presentano gli aspetti più controversi: luoghi di detenzione per individui che hanno violato una disposizione amministrativa – com'è appunto il possesso del permesso di soggiorno.
Al momento della loro istituzione, in Italia erano presenti quindici Cie. Oggi ne rimangono attivi solo sei: Bari, Brindisi, Crotone (questi ultimi due riaperti nel settembre del 2015), Caltanissetta, Roma, Torino. Gli altri sono stati chiusi, per lo più devastati da rivolte o travolti da malagestione: dei 1790 posti disponibili fino al 2013, oggi si arriva a circa 720. Il Cie di Trapani è stato attivo fino al 31 dicembre del 2015, per poi essere riconvertito in hotspot – uno dei centri per l’identificazione dei migranti richiesti dalle normative europee. Inizialmente la durata del trattenimento era di 30 giorni, poi aumentata fino a 18 mesi nel 2011. Successivamente il termine è nuovamente calato nel 2014, arrivando a 90 giorni. A settembre 2015, in attuazione della direttiva Ue, è stato previsto in alcune circostanze il trattenimento fino a 12 mesi per il richiedente asilo che costituisca "un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica" o "sussista rischio di fuga".
Secondo la relazione della commissione Diritti umani del Senato, all'interno del Cie ci sono per la maggior parte persone che provengono dal carcere, dove sono sono state identificate. Finiscono quindi nel centro, scontando, sostanzialmente, una "doppia detenzione". Ma gli "ospiti" dei Cie non sono solo ex carcerati. Spesso si tratta di persone che da molti anni vivono insieme alle loro famiglie in Italia, e non hanno più alcun legame con i loro paesi di origine; stranieri nati e cresciuti in Italia ma non regolari perché non studiano o non hanno un contratto; o che hanno sempre permesso di soggiorno e non sono riusciti a rinnovarlo per più di 12 mesi o ha perso il lavoro; richiedenti asilo che hanno potuto formalizzare la propria domanda solo dopo avere ricevuto un provvedimento di espulsione.
Costi alti e diritti violati: il fallimento del sistema Cie
Nel 2012 la Commissione del Senato aveva puntato il dito nei confronti dei Cie, definiti in un rapporto "peggio delle carceri". Un giudizio poi reiterato con un'altra analisi nel 2014, che ha rilevato "profonde incongruenze riguardo alle funzioni che essi dovrebbero svolgere", nonché "modalità di trattenimento inadeguate rispetto alla tutela della dignità e dei diritti". Un'ultima analisi è stata rilasciato nel 2016, e, oltre a rilevare la persistenza del sistema Cie, ne ha evidenziato anche il "rapporto perverso" con l'istituzione degli hotspot. Nel Cie di Ponte Galeria "abbiamo incontrato una cinquantina di donne nigeriane in una condizione di desolazione assoluta. Si tratta di persone che nella gran parte dei casi non conoscono una parola di italiano, non hanno la minima idea di dove si trovino, perché, quanto siano destinate a rimanere, dove andranno una volta fuori. È difficile immaginare una situazione più desolata e desolante di questa", ha spiegato qualche mese fa a Fanpage.it il presidente della Commissione diritti umani Luigi Manconi. "Persone – ha aggiunto – magari giunte in Italia 48 ore prima, che del nostro paese conoscono Lampedusa, il porto, e poi Ponte Galeria. Private di tutto e in una condizione di infelicità assoluta: l'Italia tollera all'interno del proprio territorio, del proprio ordinamento giuridico e del proprio sistema istituzionale che vi siano luoghi così orribili".
Che le condizioni all'interno dei centri siano state spesso al limite della sopportazione, lo dimostrano anche le rivolte e le denunce che, negli anni, si sono succedute. Nel dicembre 2013, alcuni ospiti del Cie di Ponte Galeria si sono cuciti la bocca con ago e filo per protesta. A novembre dello stesso anno, al centro di Gradisca ci sono stati tre giorni di rivolte per le inaccettabili condizioni di vita. Una denuncia di Medu – Medici per i diritti umani, aveva rilevato come il Cie di Bari fosse "al di sotto degli standard di dignità". Il 7 febbraio del 2015 nella struttura è morto Reda Mohammed, 26 anni, per "arresto cardiorespiratorio irreversibile". Oltre a questi episodi, in queste strutture si verificano tentativi di suicidi, fughe, roghi. Secondo l'inchiesta indipendente Morti di Cie, si sono registrati più di venti casi di persone che hanno perso la vita nei centri. Per la verità, già nel 2007 una commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Staffan de Mistura sosteneva la necessità di "superare i centri", che non consentivano "una gestione efficace dell’immigrazione irregolare" e comportavano "costi elevatissimi con risultati non commisurati".
Il punto, infatti, è che oltre ad essere luoghi disumani ed afflittivi, i Cie non funzionano. Stando ai dati raccolti dalla commissione Diritti umani del Senato, dal primo gennaio al 20 dicembre 2015 sono transitati complessivamente in queste strutture 5.242 persone di cui solo 2.746 sono state rimpatriate, circa il 52% dei detenuti. Un dato che trova conferma anche nel passato. Nel 2013, secondo un rapporto di Medu, il tasso di migranti effettivamente rimpatriati sul totale dei trattenuti è stato del 45,7%. Il 15, 1% si è allontanato arbitrariamente, mentre il 5% è stato dimesso perché non identificato allo scadere dei termini. In tutto tra il 1998 e il 2013 sono stati complessivamente detenuti nei Cpta prima – poi Cie – 175.142 migranti, ma effettivamente rimpatriati 80.830, il 46,2%. Meno della metà. Questo perché il rimpatrio degli irregolari è un'operazione molto costosa, che è possibile solo in presenza di accordi bilaterali con i paesi di origine dei migranti. Accordi che, nella maggior parte dei casi però, non esistono.
Secondo Gabriella Guido, portavoce della campagna LasciateCIEntrare, i Cie "sono strutture inutili, inefficienti e costose con condizioni di trattenimento lesive della dignità umana e soprattutto inutili al contrasto dell’immigrazione irregolare", mentre la "parola d’ordine e strategica" dovrebbe essere "accoglienza". Tra l'altro, come spiegato da Livio Neri, avvocato e membro dell'Associazione studi giudici sull'immigrazione, "il rischio è che per aumentare il numero delle espulsioni si sia poco rispettosi dei diritti. Certo le regole vanno rispettate e l'irregolarità non può essere accettata. Ma non esiste un automatismo tra mancanza del permesso di soggiorno ed espulsione". Come ha scritto Annalisa Camilli su Internazionale, allora, l'annuncio dell’apertura di nuovi Cie sembra più "una mossa di comunicazione del partito di governo che si prepara a una lunghissima campagna elettorale dominata nei temi e nei modi dai partiti populisti e dalla destra". Dati, rapporti ed evidenze degli ultimi anni hanno mostrato come l'integrazione sia l'unica ricetta possibile per affrontare il fenomeno migratorio. La scelta del governo, però, sulla scia dell'attentato a Berlino e della fuga, uccisione e storia di Anis Amri, è stata quella di intestarsi l'ennesimo approccio securitario, utilizzando parole e concetti che parlano direttamente alla pancia dei cittadini. Ancora una volta, insomma, la battaglia si gioca sul terreno del consenso: l'ennesima operazione politica sulla pelle dei migranti.