Il sindaco di Riace Mimmo Lucano si difende: “Non mi pento di niente, voglio trionfi la giustizia”
A distanza di qualche giorno dall'arresto intervenuto per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e fraudolento affidamento di appalti pubblici, il sindaco di Riace, Mimmo Lucano, si difende dalle accuse e ai microfoni di Repubblica sostiene di non essersi pentito di nulla e di credere nella giustizia. Intervistato nella casa in cui al momento è detenuto agli arresti domiciliari, il primo cittadino di Riace dichiara: "Io credo nella giustizia, in una giustizia giusta. Io dalla verità non ho nulla da temere perchè non ho nulla da nascondere. Non mi pento di niente. Non mi sono pentito, per niente… vorrei solo che trionfi la giustizia, ma non solo per un aspetto giudiziario perchè possono farmi quello che vogliono, ma come dignità. Voglio che vengono fuori le cose vere, ho visto tante ombre, io penso che la verità mi aiuti, ma la verità spesso è nascosta, questa storia sicuramente mi ha fatto conoscere meglio chi è vicino a me, la Calabria, ci sono cose di cui vorrei parlare ma non ho prove, mi fanno pensare veramente a una società che è mostruosa".
Nella giornata di sabato 6 febbraio, a Riace migliaia di manifestanti, compresa l'ex presidente della Camera Laura Boldrini, si sono riversati a Riace per manifestare solidarietà a Domenico Lucano, certi che il primo cittadino saprà dimostrare la propria estraneità ai fatti contestati. Stando all'ordinanza di custodia cautelare, Lucano è finito agli arresti domiciliari per aver favorito l'immigrazione clandestina per aver organizzato alcuni matrimoni di comodo al fine di far ottenere dei permessi di soggiorno ad alcune migranti diniegate e a rischio espulsione per effetto del decreto Minniti.
Il sindaco respinge però ogni accusa e sostiene di aver agito solo per umanità e di non essersi mai arricchito sulla pelle dei migranti, ma anzi di aver fatto di tutto per aiutarli. In alcune intercettazioni allegate all'ordinanza, Lucano spiega di agire come "fuorilegge" proprio per aggirare una legge – il decreto Minniti e la Bossi Fini – che ritiene "balorda" e sbagliata.