Il Reddito di cittadinanza non può essere dato a chi si rovina con il gioco: sentenza della Consulta
Il Reddito di cittadinanza non può aiutare chi si rovina con il gioco d'azzardo. Lo ha stabilito una sentenza della Corte Costituzionale.
Il sussidio, in vigore in Italia dal gennaio 2019 al gennaio 2024, secondo i giudici della Consulta "risulta strutturato in modo da non poter venire in aiuto alle persone che, in forza delle vincite lorde da gioco conseguite nel periodo precedente alla richiesta, superino le soglie reddituali di accesso, anche se, a causa delle perdite subite, sono rimaste comunque povere".
Con la sentenza depositata ieri, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale (in riferimento agli articoli 3, secondo comma, e 25 della Costituzione sulle disposizioni del decreto-legge n. 4 del 2019, come convertito, che sanzionano penalmente l’omessa dichiarazione delle vincite lorde al fine di accedere al Rdc o di mantenerlo) sollevate dal Tribunale di Foggia riguardanti una persona che aveva chiesto il Reddito di cittadinanza pur omettendo di dichiarare precedenti vincite al gioco e che non aveva poi comunicato le ulteriori vincite conseguite nel periodo in cui ha percepito il reddito.
La Consulta sottolinea che "non è però irragionevole che il legislatore abbia escluso che sia compito della Repubblica quello di assegnare il reddito di cittadinanza a chi, poco prima, si è rovinato con il gioco". Ciò perché "non è la povertà da ludopatia, ma è piuttosto la ludopatia stessa a rappresentare uno di quegli ostacoli di fatto che è compito della Repubblica rimuovere". Poiché la disciplina del reddito di cittadinanza vieta espressamente di utilizzarne gli introiti per il gioco, "il principio di eguaglianza sostanziale, alla cui attuazione il Rdc è peraltro riconducibile, non può certo essere invocato a sostegno di una questione di legittimità costituzionale nell’interesse di chi ha travolto le regole fondamentali dell’istituto, alterandone così la natura".
La sentenza ha poi precisato che "la giocata online assume il carattere di una qualunque spesa, in questo caso voluttuaria, che la persona ha effettuato con un reddito di cui ha la disponibilità, coincidente con l’accreditamento delle vincite sul suo conto gioco; non si può, quindi, pretendere che la solidarietà pubblica si faccia carico di una spesa di tal genere".
Poiché devono essere dichiarate le vincite al gioco senza che sia possibile considerare le relative perdite, la situazione di povertà "in cui la persona si sia venuta a trovare nonostante le vincite è, insomma, comunque quella di chi, avendo una disponibilità economica, l’ha dissipata giocando".
A ragionare altrimenti, del resto, non solo si rischierebbe "di alimentare la ludopatia in chi ancora ne soffre, ma anche di creare, in ogni caso, una rete di salvataggio che si risolverebbe in un deresponsabilizzante incentivo al gioco d’azzardo, i cui rischi risulterebbero comunque coperti dal beneficio statale del Rdc".
La sentenza ha anche escluso la violazione del principio di determinatezza della legge penale di cui all’articolo 25 della Costituzione, "perché, nonostante un complesso insieme di rimandi, dalla normativa è possibile evincere l’obbligo di dichiarare e comunicare le vincite lorde; del resto, sul piano pratico, a fronte della suddetta complessità, va considerata anche la possibilità, riconosciuta dall’art. 5, comma 1, del suddetto decreto, di presentare le richieste del Rdc presso i centri di assistenza fiscale".