Ieri ad Atreju sono accaduti una serie di fatti molto gravi, documentati in video. Alla storica manifestazione della destra giovanile, quella che ha cresciuto Giorgia Meloni, ieri è arrivato anche Ignazio La Russa, presidente del Senato e seconda carica dello Stato.
Andiamo per punti: punto primo.
Il presidente del Senato Ignazio La Russa mi ha riconosciuto in quanto giornalista di Fanpage.it. In quel momento gli ho chiesto se Atreju 2024 potesse essere una buona occasione per dichiararsi per la prima volta "antifascista", e a quel punto lui ha intimato alla sua scorta di cacciarmi, indicandomi con la mano.
Non lo poteva fare, perché la scorta del presidente del Senato è una scorta di Stato, non è costituita da bodyguard privati, e perciò quella scorta era lì per garantire la sua incolumità, non la protezione dalle domande scomode dei giornalisti, neanche da quelli di Fanpage.it.
La questione di fondo è questa: l'uomo più potente del Parlamento italiano, la seconda carica dello Stato, che chiede alla sua sicurezza di cacciare un giornale, e un giornalista, da una manifestazione pubblica dove lui ha partecipato in quanto esponente pubblico, è una questione che dovrebbe fare inorridire chiunque si riconosca nella Costituzione italiana.
Si capisce che c'è qualcosa che non va in tutto questo? Oppure facciamo finta che sia normale colpire la libertà di informazione in questo modo, finanche con i tentativi di allontanamento fisico, poi proseguiti con spinte e strattonamenti per tutto il tempo successivo che sono stato lì?
Punto secondo.
Il presidente del Senato, due minuti dopo aver chiesto di cacciarmi, mi si è avvicinato e mi ha abbassato direttamente la telecamera con la mano. Quando gliel'ho fatto notare ha detto: "Scusa, scusa". Salvo negare, un secondo dopo, d'averlo fatto.
Ovviamente Ignazio La Russa non aveva il manganello in mano, ma possiamo dire che non è esattamente un comportamento consono alla seconda carica dello Stato – o meglio: sarebbe stato un comportamento scorretto da parte di chiunque, ma a maggior ragione da parte della seconda carica dello Stato italiano – abbassare la telecamera a un giornalista che gli sta parlando, e a cui lui stesso si è avvicinato?
Perché attenzione, dal video si capisce bene: è Ignazio La Russa ad avvicinarsi a me, io non invado invece mai il suo spazio di protezione.
Punto terzo.
Esiste poi la figura inquietante, spaventevole, di quell'uomo – fascista dichiarato e con un enorme tatuaggio di Benito Mussolini sul braccio – che sta accanto al presidente del Senato La Russa e ci dialoga negli stessi minuti in cui io sono allontanata. Ridono insieme, li avete visti nel video? E Ignazio La Russa afferma per due volte "sei uno dei nostri", e dice pure "mi ricordo" quando il tizio gli chiede se ha capito con chi sta parlando.
Perché Ignazio La Russa è così affabile con quell'uomo? Davvero lo aveva riconosciuto, come in effetti afferma due volte, anche a domanda diretta di lui? E in virtù di cosa Ignazio La Russa lo ritiene "uno di noi" al punto da doverlo sottolineare due volte a voce alta?
Punto quarto.
Ignazio La Russa non si è dichiarato "antifascista" neanche questa volta, e anche se questa sembra ormai una questione di routine, perché degli esponenti più in vista di Fratelli d'Italia nessuno si è mai dichiarato "antifascista", in uno Stato democratico questo non dovrebbe essere considerato un aspetto marginale.
La seconda carica dello Stato italiano che rifiuta una definizione che ha permesso la nascita della democrazia che lui oggi rappresenta, non è una questione inessenziale.
Punto quinto.
Ci sono poi alcuni aspetti che hanno a che vedere più con la sfera della relazione privata, ma che comunque lasciano sconcertati.
Ignazio La Russa che a un certo punto, forse accortosi dell'enormità commessa, mi vuol stringere per forza la mano, mentre mi dice per due volte "prometto" rispetto al fare un'intervista di mezz'ora con me, più tardi; e poi cinque minuti (e vari selfie dopo), lo stesso Ignazio La Russa mi dice "non ho tempo" e scappa via.
Tutto lecito, forse, ma in fondo io credo che questi pessimi modi di relazione e di non dare valore alla parola detta, alberghi più di qualche aspetto di condivisione con il non riconoscersi, neanche oggi, "antifascisti".