"La vicenda Kazaka è una vergogna assoluta e intollerabile. Le ricostruzioni del Ministro non sono credibili. Voterò solo per disciplina!". È questo paradossale tweet di Marco Filippi, senatore del Partito Democratico, a sintetizzare con nitidezza ciò che è accaduto in queste ore, con l'annunciata bocciatura della mozione di sfiducia individuale nei confronti di Angelino Alfano, grazie al decisivo voto del Partito Democratico. Perché la questione, mai come stavolta, appare semplicissima (e peraltro più volte ribadita dagli interventi al Senato di parlamentari di maggioranza e opposizione). Il nostro Paese ha calpestato i diritti umani, passando sopra le vite di una donna e di una bambina di 6 anni. Le autorità kazake hanno mostrato arroganza, protervia e una tremenda mancanza di rispetto nei confronti del nostro Governo. L'intera vicenda ha assunto un carattere tragico, indegno di un Paese civile, al netto di ogni considerazione sulle "questioni politiche interne al Kazakhistan".
Un disastro, reso ancor più goffo dalla ricostruzione lacunosa, reticente, francamente improponibile resa dal ministro Alfano al Parlamento. Di fronte a questo, era lecito attendersi una scelta di responsabilità da parte del Governo; era giusto e doveroso che le responsabilità fossero accertate senza scaricabarili ai limiti dell'accettabile; era auspicabile tracciare un solco: oltre non si va, oltre il destino di una bimba di 6 anni e di sua madre non si può andare. Un sentimento probabilmente condiviso all'interno dell'opinione pubblica, certamente materia di confronto all'interno delle istituzioni.
Ma, nell'Italia del 2013 anche i fatti che non sono tollerabili (e la definizione è di Enrico Letta) passano in secondo piano rispetto a quel fantomatico "senso di responsabilità nei confronti del Paese", che, come scrive Michele Serra, ci fa vedere come un pericolo "ogni impennata etica, ogni accelerazione sociale, ogni eccessiva movimentazione del paesaggio politico […] e viene da domandarsi quante giuste cause, quanti sacrosanti obiettivi, quanti atti di coraggio, quanti germi di novità sono stati scannati come agnelli sacrificali sull'ara del senso di responsabilità".
E se lo domandano soprattutto gli elettori del Partito Democratico, ancora una volta costretti ad ingoiare un boccone amaro nel nome della "responsabilità", che spesso risponde solo al terrore della crisi di Governo, della rinuncia di rendite personali e correntizie del gruppo dirigente del partito. È il prezzo delle larghe intese, dirà qualcuno. Ed in effetti è così. È il prezzo di una scelta che gli elettori ed i militanti democratici non hanno mai fatto. È il prezzo del tradimento del programma elettorale e dei principi che hanno guidato le riflessioni interne al partito negli ultimi venti anni. È l'ennesimo obolo da pagare per il fallimento del progetto di Governo del Paese affidato a Bersani nelle primarie di novembre.
Ma poi in cambio di cosa? È davvero questo il Paese che gli elettori democratici avevano in mente quando hanno scelto di sostenere Italia Bene Comune alle politiche? È il Paese degli inciuci, degli insabbiamenti e dei soliti noti quello per cui lottare? È il simulacro della stabilità economica quello per cui barattare principi e (ciò che resta degli) ideali? E soprattutto, cosa succedere quando fra qualche mese l'asticella della decenza si abbasserà ancora?
Ma tant'è. E dopo l'Imu, le nomine "allegre", gli F35 (l'ambiguità della mozione approvata è un vero capolavoro, in tal senso) e via discorrendo, oggi gli elettori democratici chinano il capo di fronte alla violazione dei diritti umani. Servirebbe un sussulto di dignità. E non è mai troppo tardi.