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Covid 19

Il piano nazionale del governo per affrontare la pandemia rimasto segreto

Il governo italiano a febbraio aveva redatto un piano nazionale per affrontare un’eventuale pandemia di coronavirus. Il documento di 40 pagine, che prevedeva tre scenari possibili, non è stato però né attuato né reso pubblico, ed è rimasto secretato per non diffondere il panico tra la popolazione.
A cura di Annalisa Cangemi
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C'era un piano del governo per affrontare la pandemia, un piano che però non è stato attuato e che è rimasto secretato. Si tratta di un documento di 40 pagine, che era stato redatto il 19 febbraio, anche se la data della stesura finale è il 22 febbraio 2020. Il ministro Speranza, fino a due giorni fa descriveva il dossier come un semplice "studio in itinere" che conteneva valutazioni "ipotetiche, aleatorie". La conferma dell'esistenza del piano riservato si è avuta con i verbali del Comitato tecnico scientifico. Ne dà conto oggi il Corriere della Sera, con un articolo firmato da Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini.

Erano state fissate a febbraio precise modalità di risposta alla pandemia, nel caso in cui il coronavirus, come è poi successo, si fosse diffuso in Italia. Il documento era stato pensato per "Garantire un’adeguata gestione dell’infezione in ambito territoriale e ospedaliero senza compromettere la continuità assistenziale, razionalizzando l’accesso alle cure, per garantire l’uso ottimale delle risorse. L’erogazione di cure appropriate ridurrà la morbilità e la mortalità attenuando gli effetti della pandemia". Era chiare le priorità dell'azione del governo: avere scorte adeguate di mascherine, e di dispositive di protezione come tute e guanti, ma soprattutto aumentare la disponibilità dei posti in terapia intensiva. Tutte misure che soprattutto nelle prime settimane non sono state adottate.

Tre scenari

Proprio il Corriere della Sera lo scorso 21 aprile aveva svelato l'esistenza di un piano pandemico nazionale. In un’intervista il direttore generale per la Programmazione sanitaria del ministero della Salute Andrea Urbani confermava l'esistenza di tre scenari e spiegava che il piano non era stato reso noto "per non spaventare la popolazione". A partire dalle cifre della riproduzione del virus in Cina in base all’indice di contagio R0, il piano simula il possibile andamento dell’epidemia in Italia.

C'è un "livello di rischio 1, sostenuta ma sporadica trasmissione e diffusione locale dell’infezione", ma sono gli altri scenari a destare maggiore preoccupazione: il "Livello di rischio 2: diffusa e sostenuta trasmissione locale con aumentata pressione sul Ssn che risponde attivando misure straordinarie preordinate" e il  "Livello di rischio 3: diffusa e sostenuta trasmissione locale con aumentata pressione sul Ssn che risponde attivando misure straordinarie che coinvolgono anche enti e strutture non sanitarie". Questi ultimi due scenari, che prevedono un indice di contagio rispettivamente a 1,15 e 1,25, sono quelli che in cui maggiormente si ravvisa, in termini di proiezione, una mancanza di posti in terapia intensiva.

Guanti e mascherine

La necessità di dotare gli ospedali subito di guanti, scudi, mascherine, nelle diverse misure e taglie, viene sottolineata dagli esperti, in quanto "le procedure applicate nelle strutture intensive sono ad alta invasività". Le scorte poi dovevano essere "adeguate al volume atteso di pazienti secondo il livello di attività previsto dall’organizzazione».

Terapie intensive

Si legge nel documento: "Dall’analisi dell’offerta assistenziale-ospedaliera riferita alla terapia intensiva, è emersa una dotazione complessiva nazionale di posti letto pari a 5324 (di cui 687 in isolamento semplice e a pressione negativa) con un tasso di occupazione dell’85%. Ipotizzando di poter fruire del 15% dei posti letto disponibili con una riduzione dell’attività di chirurgia elettiva del 50% (come previsto negli scenari 2 e 3), si potrebbero liberare progressivamente fino a 1597 posti letto in TI di cui 103 in isolamento".

Il rapporto Stato-Regioni

C'è poi una questione più politica che riguarda il rapporto Stato-Regioni nella gestione dell'emergenza: "È attivato un Coordinamento nazionale che opera secondo un modello decisionale centrale ben definito e un mandato forte e direttivo che, nel rispetto delle singole organizzazioni regionali, definisca l’efficienza degli interventi da attuare ma soprattutto l’efficacia delle azioni pianificate". Veniva poi sottolineata la necessità che le Regioni non si muovessero in ordine sparso: "In stato di emergenza nazionale, le Regioni e le Province autonome devono superare le regole, i principi e le attuali differenze programmatiche che derivano dall’adozione di modelli organizzativi fortemente differenti soprattutto per le attività di emergenza". In questi mesi abbiamo assistito spesso a fughe in avanti dei governatori, che in molti casi hanno adottato anticipando le disposizioni del governo, o addirittura emanando ordinanze in contrasto con le misure stabilite a livello nazionale.

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