"In Europa sono tutti preoccupati per la Meloni al governo e dicono cosa succederà? Ve lo dico io cosa succederà, che è finita la pacchia e anche l'Italia si metterà a difendere i propri interessi nazionali come fanno gli altri, cercando poi delle soluzioni comuni”. Così Giorgia Meloni, ieri, dal palco di piazza del Duomo a Milano. E forse, sebbene questa campagna elettorale non brilli per l’analisi e il confronto sui contenuti, andrebbero dedicati due minuti all’interpretazione di questa frase, che ciclicamente torna in bocca alla leader di Fratelli d’Italia.
Non serve un grande investigatore, intendiamoci. Perché è Giorgia Meloni stessa ad aver fornito le chiavi interpretative del suo progetto in una lettera al Foglio, pubblicata qualche giorno fa, in cui parlava di un’Europa “Confederale, rispettosa della sussidiarietà e delle sovranità nazionali, che faccia meno cose ma le faccia meglio”. Ed è ancora Giorgia Meloni, facendo un paio di passi indietro, al 2018 per la precisione, ad aver spiegato come vuole realizzare questa sua idea di Unione Europea. Banalmente, fino a un certo punto, cambiando tre articoli della Costituzione.
Più precisamente, si tratta dell’articolo 97, quello secondo il quale le pubbliche amministrazioni devono tenere il bilancio in equilibrio in coerenza con l’ordinamento Ue; l’articolo 117 che afferma come lo Stato debba fare le leggi nel rispetto dell’ordinamento comunitario. E l’articolo 119, secondo cui anche regioni e comuni devono legiferare attenendosi ai vincoli comunitari. In altre parole, Giorgia Meloni vuole cancellare dalla Costituzione Italiana ogni riferimento all’Unione Europea. Per uscirne, come dicevano di voler fare Matteo Salvini e Beppe Grillo qualche anno fa, o come vorrebbe fare oggi Gianluigi Paragone? No, è diverso: Giorgia Meloni vuole cambiare l’Unione Europea sancendo il principio che le nazioni possano fare leggi che contrastino in modo palese quel che si decide tutti assieme a Bruxelles.
Facciamo qualche esempio. Con questa modifica costituzionale, l’Italia potrebbe decidere di non rispettare le regole del patto di stabilità, ad esempio, quelle che – almeno fino alla pandemia – dicevano che il deficit annuo dello Stato non avrebbe potuto superare per alcun motivo il 2% del suo prodotto interno lordo. O ancora, potrebbe decidere di adottare una propria e autonoma politica agricola, o una propria e autonoma politica di regolazione dei flussi migratori, o di una propria e autonoma strategia per combattere (o non combattere) il riscaldamento globale. In pratica, con la prevalenza del diritto nazionale su quello comunitario viene meno tutto il processo di costruzione degli Stati Uniti d’Europa come un’entità in grado, in un prossimo futuro, di superare gli Stati nazionali. Ma più in generale, viene meno l’idea stessa di Cooperazione Europea nata dalle macerie del secondo conflitto globale, quello combattuto e vinto contro il nazifascismo.
Non è una battaglia iniziata da Fratelli d’Italia, intendiamoci. Quella dell’Europa confederale, o se preferite dell’Europa delle Nazioni, è la storica partita dei Conservatori inglesi, e soprattutto del partito di destra Giustizia e Libertà al governo ora in Polonia – entrambi, non casualmente, appartenenti alla stessa famiglia europea di Fratelli d’Italia – Paese la cui Corte Costituzionale ha già sancito il principio di prevalenza del diritto nazionale su quello comunitario e che proprio per questo è in guerra aperta con Bruxelles, anche perché tale leva è stata usata per discriminare donne e omosessuali, per vietare l’aborto anche in caso di malformazione del feto, e per creare una superprocura che avrà accesso a tutti i dati dei cittadini e potrà perseguirli penalmente.
Ecco: forse la riforma costituzionale di cui dovremmo davvero preoccuparci, in caso di vittoria di Giorgia Meloni, è soprattutto questa. Perché il diritto comunitario, in questi anni, è stato il vero argine contro le derive estremiste di qualsivoglia origine, contro il riemerge di tensioni e conflitti tra gli Stati europei. Così come la cooperazione europea ci ha permesso di gestire al meglio il post pandemia, con un piano di aiuti mastodontico come Next Generation Eu, laddove invece l’assenza di cooperazione ha prodotto disastri come nel caso della gestione dei flussi migratori dall’Africa e da Medio Oriente.
Giorgia Meloni vuole mani libere per poter governare il Paese secondo dettami che sui diritti civili, sull’immigrazione, sulle politiche fiscali sono in aperto conflitto con i principi della cooperazione europea. Ed è per questo che la vuole eliminare. Così come, del resto, vuole il presidenzialismo per dare all’esecutivo più poteri di quelli che ha oggi, senza i contrappesi che ha oggi. Senza Bruxelles e senza il Quirinale come argini, forse, la sua ascesa ci spaventerebbe un po’ di più. Ecco: che proprio Bruxelles e il Quirinale rappresentino i suoi prossimi bersagli dovrebbe cominciare a spaventarci un po’ fin da ora.