È il giorno del vertice straordinario sui migranti dei ministri dell'Interno europei. Un tavolo necessario, dopo lo scontro aperto tra Parigi e Roma sul caso della nave umanitaria Ocean Viking, che dopo aveva soccorso circa duecento naufraghi lungo la rotta centrale del Mediterraneo e dalle acque a largo di Catania si è diretta verso il porto francese di Tolone. La nave, battente bandiera norvegese, non aveva infatti ricevuto alcuna risposta dalle autorità italiane quando aveva chiesto un Pos, un luogo sicuro di sbarco.
Dopo una serie di attacchi incrociati, da Bruxelles è stata convocata d'urgenza una riunione dei ministri dell'Interno dei Paesi membri, per fare il punto sulla gestione comunitaria dei flussi migratori. L'Italia spingerà perché si parli anche del ruolo delle navi Ong, anche se dall'Unione europea si continua a sottolineare un punto ben preciso: soccorrere le persone in mare e accogliere i rifugiati è un obbligo degli Stati.
Il report Frontex che nessuno ha visto
Nell'informativa che il ministro dell'Interno italiano, Matteo Piantedosi, ha tenuto lo scorso 16 novembre in Parlamento, le Ong sono state protagoniste. Il ministro ha ribadito che l'Italia non può accogliere tutte le persone che arrivano per vie illegali attraverso il Mediterraneo, affermando che il sistema di accoglienza nel nostro Paese sia vicino al collasso e lanciando un appello ai partner europei affinché siano più solidali con i Paesi costieri e si facciano carico anche loro dei migranti dall'Africa.
Soprattutto gli Stati che prestano la loro bandiera alle navi umanitarie, ha detto il ministro, dovrebbero poi preoccuparsi della prima accoglienza delle persone che queste soccorrono. Piantedosi ha quindi accusato le Ong di non rispettare il diritto del mare, per poi affermare che l'aumento delle partenze sia dovuto proprio alla loro presenza a largo. A supporto di questa tesi il ministro ha citato un report di Frontex, che però al momento non è pubblico e consultabile. Stralci del documento sono solo stati riportati dall'Adnkronos, che afferma di averlo visionato.
Le Ong non sono pull factor, cosa dicono i dati
Non si può però partire da una premessa incerta, per affrontare il capitolo Ong. Soprattutto quando altri studi (pubblici) raccontano un'altra realtà. C'è ad esempio quello redatto nel 2019 dai ricercatori Eugenio Cusumano e Matteo Villa per lo European University Institute che afferma proprio il contrario. E cioè che le navi Ong non siano pull factor.
Ci ha pensato la stessa Frontex a fare un po' di chiarezza. In un articolo pubblicato sul Manifesto e firmato da Giansandro Merli, l'agenzia europea ha chiarito come i flussi migratori siano il risultato di "una combinazione di molti fattori di spinta e attrazione, uno dei quali potrebbe essere la presenza di imbarcazioni di soccorso in alcune aree particolari". Insomma, uno scenario molto diverso da quello dipinto dal ministro in Parlamento.
Non solo: Matteo Villa, ricercatore dell'Ispi, ha anche pubblicato i dati riguardanti lo stesso periodo preso in considerazione dal report Frontex citato da Piantedosi, cioè quello che va dal 1° gennaio al 18 maggio dello scorso anno. Combinando i dati dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati e dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni, emerge che le partenze quando a largo c'erano le Ong sono addirittura minori rispetto a quelle registrate quando in mare non c'era nessuno.
Un'ulteriore conferma del fatto che i motivi che spingono le persone a partire lungo una delle rotte migratorie più pericolose al mondo siano altre: violenza, povertà estrema, repressione dei diritti umani, carestie.
Il piano europeo: più coordinamento e più solidarietà
Il problema è che il punto non sono le Ong. Il punto è che manca un'efficace politica europea che sappia gestire i flussi migratori nel rispetto dei diritti umani e all'insegna della solidarietà tra Paesi. La Commissione europea, da parte sua, ha messo a punto un piano da presentare agli Stati membri. Un documento in cui ha ribadito la necessità di rafforzare la cooperazione tra i Paesi Ue, affinché i flussi migratori siano gestiti davvero a livello comune e non dalle singole politiche nazionali (che possono poi sfociare in crisi diplomatiche sfiorate, come accaduto tra Francia e Italia). Ma ha anche sottolineato che le attività di ricerca e soccorso siano doverose.
Prestare soccorso in mare, dal momento in cui si ha notizia di una nave in difficoltà fino allo sbarco, – si legge nel documento redatto dalla Commissione – è un obbligo a cui devono attenersi gli Stati membri, indipendentemente dalle circostanze che hanno portato le persone all'essere in pericolo nel Mediterraneo. Da Bruxelles hanno anche chiesto ai Paesi membri, e in particolare a quelli costieri, di essere più cooperanti nel coordinamento delle attività di soccorso in modo da evitare naufragi e morti in mare.
Se ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo viene chiesto più coordinamento per le operazioni Sar, cioè di ricerca e soccorso, la Commissione ha anche insistito per rafforzare il Meccanismo di solidarietà che permette il ricollocamento tra i Paesi europei dei migranti arrivati via mare. Un Meccanismo che Paesi come l'Italia, ma anche Cipro, Grecia e Malta, vogliono che diventi obbligatorio, e non più volontario.
"Salvare vite umane è un obbligo degli Stati"
"Serve un approccio coordinato: il salvataggio delle vite che si trovano in mare è un obbligo degli Stati membri e non possiamo tardare nel trovare una soluzione", ha messo in chiaro all'inizio della discussione il vicepresidente della Commissione europea, Margaritis Schinas. Per poi aggiungere: "Volare in solitaria non è un'opzione: abbiamo bisogno ora di un accordo sul patto".
Un messaggio che sembra anche rivolto al nuovo governo italiano, che con la gestione dei casi Geo Barents e Humanity 1 ha provato ad imporre una linea diversa: permettere l'attracco delle navi umanitarie ai porti italiani (in tal caso era quello di Catania) esclusivamente per il tempo necessario allo sbarco di fragili, donne e minori, in seguito il comandante della nave sarebbe dovuto tornare in mare e dei migranti rimasti a bordo se ne sarebbe dovuto occupare lo Stato di bandiera. Un piano che si è però presto scontrato con le norme del diritto del mare.
La discussione a Bruxelles sarà lunga e complessa. Ciò che è certo è che un tema come quello delle migrazioni non può essere affrontato né con la propaganda, né con il braccio di ferro con gli altri Paesi europei. Perché poi, a rimetterci, saranno sempre e solo le persone che fuggono alla ricerca di una vita migliore in Europa. Quell'Europa che oggi litiga e non le sa accogliere.