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Il piano di Silvio Berlusconi per il Quirinale non è mai stato così concreto

Silvio Berlusconi crede davvero di poter diventare il tredicesimo Presidente della Repubblica italiana. E ha un piano per recuperare i voti che gli mancano per salire al Quirinale.
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Berlusconi Presidente della Repubblica, Mario Draghi Presidente del Consiglio (almeno) fino al 2023: se il 4 marzo del 2018 qualcuno ci avesse detto che questo potesse essere uno scenario realistico o anche soltanto credibile, probabilmente gli avremmo riso in faccia. Invece, non solo il Parlamento “della svolta populista” sostiene a larghissima maggioranza l’ex governatore della Banca Centrale Europea e lo considera quasi una garanzia per il completamento della legislatura, ma quella del Cavaliere al Quirinale non è più considerata una boutade, bensì una possibilità concreta. Non è semplice ricostruire come si sia arrivati a questo punto, di certo la situazione attuale è determinata anche dai ridotti margini di manovra di cui sembrano godere i principali partiti italiani, incapaci di dettare la linea e soprattutto di governare i propri eletti in Parlamento.

In ogni fase di stallo, quei pochi in grado di prendere in mano la situazione (o anche solo di poter agire con maggiore spregiudicatezza) acquistano una centralità maggiore, a prescindere dal loro reale peso elettorale o parlamentare. È accaduto con la manovra renziana per affossare Conte, è più o meno quello che sta accadendo in queste settimane. Berlusconi, infatti, da tempo lavora alla sua candidatura al Colle, conscio delle difficoltà oggettive, ma anche fiducioso nel fatto che potrebbero risultare determinanti l'assenza di alternative e una serie di fattori concomitanti (la dissoluzione del M5s, la riduzione del numero di parlamentari, la guerra fredda Meloni – Salvini, il terrore del centrosinistra di tornare alle urne nel caso di elezione di Draghi al Quirinale). Detto in parole povere: Berlusconi ci crede davvero e sta lavorando per creare le condizioni adatte a quello che sarebbe un epilogo clamoroso della sua storia politica.

Il primo ostacolo è quello della percezione collettiva della sua figura. Berlusconi, lo abbiamo scritto più volte, è stato probabilmente il leader più divisivo della storia recente e il berlusconismo ha lasciato macerie. Non è (solo) una valutazione di merito, è proprio una constatazione: la radicalizzazione del dibattito politico, la personalizzazione dello scontro, la riduzione a “tifo” della partecipazione dei cittadini, il conflitto costante con la magistratura e l’utilizzo disinvolto dei mezzi di comunicazione come arma per la costruzione del consenso sono parte non cancellabile dell’eredità di Silvio Berlusconi. La strada di trasformare l’elezione del Capo dello Stato in un referendum sulla sua persona, evidentemente, non è una buona idea. E il leader di Forza Italia lo sa bene, al punto che da anni sta lavorando alla riabilitazione della propria immagine. Un processo che ha subito un’accelerazione nelle ultime settimane, ma che molto difficilmente riuscirà a compattare l’opinione pubblica intorno alla sua figura.

La cosa non è di poco conto, perché rende impossibile un assenso esplicito di altri partiti alla proposta Cavaliere. Che, dunque, dovrà trovare i voti che gli servono nei corridoi di Montecitorio e di Palazzo Madama. Già, ma di quanti voti stiamo parlando? Da giorni sentiamo ripetere che mancherebbero tra i 40 e i 60 voti (come noto, dal quarto scrutinio serve la maggioranza assoluta). Considerando che i grandi elettori saranno 1008, il quorum da raggiungere è a quota 505: la base di partenza dovrebbe essere costituita dai circa 450 tra parlamentari e delegati regionali del centrodestra. I principali indiziati a salire sul carro del Cavaliere sono gli iscritti al Misto o a gruppi che raccolgono altre formazioni centriste, così come non mancheranno corteggiamenti ai tanti parlamentari del Movimento 5 Stelle che sono certi della non ricandidatura o sono ai ferri corti con la nuova dirigenza. A prima vista, insomma, la cifra 505 non sembrerebbe neanche irraggiungibile, il problema è che c'è più di un segnale sul fatto che il centrodestra sia tutt'altro che compatto. E se Meloni e Salvini potrebbero rassegnarsi ad appoggiare il leader forzista, non è affatto scontato che i loro parlamentari rispettino in pieno il mandato. Anzi, c'è chi è pronto a giurare sul fatto che i franchi tiratori possano essere ben più di una cinquantina.

E chiaro insomma che, se vuole essere credibile, la candidatura di Berlusconi deve poggiare su altre basi. Quelle di un accordo politico, che magari rimandi a una visione di ampio respiro. Ed è per questo che la strategia si fonda sul legame a doppio filo con la presenza di Draghi al governo e la prosecuzione della legislatura. La minaccia di andare al voto nel caso in cui l'attuale Presidente del Consiglio dovesse lasciare Chigi per andare al Quirinale serve essenzialmente a spaventare parlamentari terrorizzati (come al solito) di una prematura interruzione della legislatura, in modo da portare i leader al tavolo della trattativa, scongiurare il ritorno al voto e garantire che il percorso di pacificazione e ripresa nazionale continui sotto l'egida di Draghi. Berlusconi, in effetti, sa benissimo che il disegno del centrosinistra allargato è quello di eleggere al Colle una figura di prestigio e garanzia che possa anche servire da contrappeso all'inevitabile vittoria del centrodestra alle prossime politiche. Ma sa anche che PD e M5s si sono cacciati in un ginepraio, dal quale rischiano di non uscire indenni.

Perché eleggere Draghi al Colle significherebbe aprire la crisi politica, a pandemia in corso e con un PNRR in fase di attuazione. Lasciare Draghi a Chigi fino al 2023, d'altro canto, richiederebbe una strategia più ambiziosa, che nessuno sembra in grado di elaborare. E a testimoniarlo vi è il tentativo goffo e raffazzonato di convincere Mattarella a rimanere un altro anno e mezzo al Quirinale, per consentire a Draghi di completare la legislatura e poi essere eletto Presidente della Repubblica.

In questo vuoto totale il Cavaliere spera di inserirsi con un'operazione politica spregiudicata come poche: un accordo che tenga dentro le necessità dei centristi alla ricerca di un ruolo (Italia Viva e non solo) e che preveda un ruolo per Draghi in una fase che si annuncia ancora molto delicata per il Paese. Che si concretizzi per pochi voti al quarto scrutinio è un'eventualità non così peregrina, che sia irrituale o meno al Cavaliere interessa poco. Il fatto che Pd e M5s non si siano ancora resi conto di cosa si prepari all'orizzonte, è invece abbastanza emblematico.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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