Dunque, è Marini. La sorpresa di Pier Luigi Bersani è Franco Marini. Il nome condiviso, la sintesi delle posizioni, il candidato non divisivo. Così, dopo aver sempre respinto l'ipotesi "governissimo", dopo aver passato gli ultimi 50 giorni a fingere di non conoscere nemmeno il significato della parola "inciucio", Pier Luigi Bersani ha operato un vero e proprio colpo di mano, con modalità prese in prestito dalle peggiori pagine della Prima Repubblica. Una scelta che a molti è sembrata incomprensibile e che risponde semplicemente ad un solo, tristissimo concetto: l'autoconservazione dell'apparato di partito.
Non ci sono altri motivi, non c'è altra ragione politica che tenga, non c'è alcuna giustificazione plausibile per una scelta del genere che non sia la preparazione di un "governo del compromesso", considerato evidentemente il solo modo per tenere in vita la "politica tradizionale". Una determinazione all'autoconservazione da perseguire a costo di consegnarsi ai voleri di Silvio Berlusconi. E, si badi bene, si tratta di considerazioni che esulano dal rigore morale e dalla caratura della candidatura di Marini, che non sono in discussione. Ma la domanda di senso resta: a cosa serve la candidatura di Franco Marini, a quale "idea" di paese si ispira, quale progetto porta con se? E le risposte, francamente, latitano.
Bersani ha sempre parlato di una scelta di responsabilità. Ci spieghi in che senso scegliere Rodotà (ma non solo), sarebbe stato un segno di irresponsabilità ed in che modo il professore ottantenne (che lo ripetiamo, è solo uno dei nomi "dell'alternativa possibile") avrebbe messo a rischio la stabilità del Paese e la centralità della politica. Si è parlato di una scelta condivisa. E sarebbe condivisa la scelta di Marini? L'ex Presidente del Senato piace al Popolo della Libertà, ai centristi di Monti e ad una parte del Partito Democratico. Mentre non piace al Movimento 5 Stelle (che a quanto ci risulta ha gli stessi consensi del Pdl e dei centristi nel Paese), a Sel e a parte dello stesso Pd. Solo questa constatazione basterebbe a ridurre la pretesa "condivisione" sul nome di Marini, ad una più veritiera "scelta politicista". E tutto questo senza nemmeno considerare il fuoco di sbarramento tra la base, tra i militanti e tra gli elettori. Non serve un'indagine demoscopica, basta un profilo facebook, un account twitter.
E fingere di non capire è la colpa più grave che va imputata a Bersani e ai dirigenti democratici che hanno avallato tale scelta. Fassina ad esempio ieri parlava di "ricostruire la connessione sentimentale con il Paese", omettendo per decenza di ripetere le parole cambiamento e discontinuità, che avevano affollato ogni sua dichiarazione precedente, ogni suo intervento. Fingere di non vedere che la domanda di cambiamento che attraversa il Paese passa anche da scelte coraggiose è un errore che costerà carissimo al Pd e alla politica tradizionale. Era l'ennesima ultima spiaggia per cambiare ed inviare un messaggio coerente agli italiani. Bersani ha semplicemente scelto di sopravvivere ancora per qualche foglio di calendario. E di restare chiuso nelle stanzette del potere. Sempre più piccole ed anguste. Per fortuna.