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Opinioni

Il Paese reale che non si fida della politica (e con buona ragione)

Cala l’affluenza alle urne, diminuisce la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, aumenta la sfiducia nella politica. Una prima, parzialissima, riflessione sull’epoca del disinteresse, del cinismo e della (meritatissima) sfiducia nei confronti della politica.
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“L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza”. Queste parole, come noto, portano la firma di Antonio Gramsci e sono datate 11 febbraio 1917, prima che “l’oblio fascista calpestasse la coscienza di un intero Paese”. Da allora rappresentano una sorta di lascito per chi crede che l’impegno personale nella vita politica e sociale sia un dovere di ogni essere umano, oltre che una sorta di completamento della propria esperienza di vita. E, del resto, per lungo tempo, soprattutto a sinistra, si è inteso l’impegno politico come naturale, quasi fisiologico, oltre che imperativo morale, secondo una lettura che faceva della partecipazione elettorale un atto scontato, irrinunciabile.

Poi, qualcosa è cambiato. Anche in Italia, verrebbe da dire. E quella che era la coscienza civica si è lentamente, ma quasi completamente, assuefatta alle litanie della politica, lasciandosi scivolare addosso quasi senza colpo ferire anni di delusioni, di tentativi abortiti, di attese deluse, di fiducia tradita, di fallimenti nella costruzione dell’alternativa, di inutili tentennamenti, di corruzione, di indecenza dei costumi pubblici e privati. Del resto, alzi la mano che non ha provato nemmeno per un secondo sensazioni del genere nel leggere, ad esempio, i resoconti dell'inchiesta Mafia Capitale (che citiamo solo per una questione temporale, ovviamente). 

Distacco e disillusione scivolano così nell’indifferenza, questo è un fatto. Ma occorre scindere i fattori di analisi, a nostro avviso. Perché se da un lato è la politica italiana che in qualche misura "merita" l’astensione (ne scrivevamo qualche tempo fa, chiedendoci quale fosse lo stimolo per l’impegno personale quando “la superficialità e la mediocrità delle idee assurgono a valore assoluto, quando il basso populismo diviene l’unica modalità di comunicazione politica, quando il qualunquismo impera nelle valutazioni e negli stessi programmi politici”), dall’altro è pur vero che non si può non inserire il ragionamento sull’astensione in un quadro più ampio, che in qualche modo vada oltre il nostro Paese.

Partendo dai dati dell’affluenza alle urne negli altri Paesi europei, ad esempio:

 

I dati (con la sola eccezione del Belgio) indicano con eloquenza il trend negativo per quel che concerne la partecipazione al voto a livello europeo (certo, con punte significative in Italia e Grecia, paesi in cui la partecipazione al voto è tradizionalmente alta). Discorso in parte simile anche per gli Stati Uniti, anche se con uno scostamento significativo fra Elezioni Presidenziali, di medio termine e federali. Cosa è successo in questi ultimi anni, allora? La spiegazione non è univoca e tante sono le analisi e gli approfondimenti meritevoli di considerazione (qualche esempio qui, qui, qui e qui). È però interessante soffermarsi su alcuni aspetti che concorrono a determinare tale situazione. In primo luogo c’è la perdita di peso e di incidenza della politica, che appare incapace di dominare i processi economico / finanziari, di cambiare (in meglio) la vita delle persone e soprattutto sembra aver abdicato ad ogni “velleità” di cambiamento radicale. Anche perché manca in parte o del tutto lo “spirito comunitario”, quella capacità di leggere la condizione individuale solo in un contesto collettivo, quella volontà di “trovare soluzioni collettive alle sfighe individuali”: del resto che questa sia l’epoca del cinismo e della paura è considerazione condivisibile. E il cinismo genera cinismo, la paura determina la conservazione, quando non la restaurazione. Così, la condizione attuale appare come “già data” e si ha la consapevolezza che ogni cambiamento non è che superficiale, velleitario, inutile: il “sistema” (di qualunque cosa si tratti) tende a riorganizzarsi, a ripensarsi per ricreare le stesse condizioni.

Non è un caso che a rimanere lontani dalle urne sono giovani e giovanissimi, ai quali non resta che constatare che questa società non è più scalabile e che gli spazi della partecipazione non sono più "quelli di una volta". Questo secondo aspetto chiama in causa un altro fattore chiave: la crisi della democrazia rappresentativa, che è assieme conseguenza e causa dell'astensione dalle urne. Con l'assenza conclamata di progetti di ampio respiro (anche ideologico) alla rappresentanza politica / istituzionale non resta che l'ordinaria amministrazione, mentre al cittadino non resta che arrendersi all'evidenza della limitatezza dei margini di manovra in determinati contesti. In sostanza, alla domanda "quanto conta il mio voto?" si è aggiunta la successiva "cosa ci fanno col mio voto?" e infine la definitiva "cosa cambierebbe senza il mio voto?". La risposta, a tutte e tre le domande, nella prospettiva comune, è la stessa: nulla, rien, nada, nothing. I modelli alternativi, se esistono, non appartengono a questa epoca. Non ancora, almeno.

Ma a disertare le urne sono anche i poveri, i nuovi e vecchi poveri. A votare non va più chi ha pagato la crisi senza averla provocata, chi si è impoverito dopo aver inseguito per anni il mito del benessere e del successo, chi è davvero vittima dell'austerità, del rigore, dei tagli alla spesa pubblica, della debolezza degli stati nazionali e dell'inconcludenza della classe politica. È la vera grande questione, quella reddituale, che per troppo tempo si è finto di non vedere. Altro che aspetto secondario, insomma.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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