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Il Paese in cui anche i computer godono dell’immunità

La storia di una perquisizione della Gdf nella casa-ufficio di un imprenditore del gioco d’azzardo e di un deputato del Pdl che, durante il sopralluogo dei militari, porta via un computer, rivendicando l’immunità.
A cura di Alfonso Biondi
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Laboccetta, deputato del Pdl

La storia, per certi versi incredibile, la racconta L'Espresso. E' il 10 novembre 2011 e la Guardia di Finanza va a far visita a Francesco Corallo, titolare della Atlantis, società con forti interessi nel gioco d'azzardo. La Procura di Milano ritiene che l'Atlantis abbia beneficiato di un finanziamento irregolare di 150 milioni di euro da parte della Banca popolare di Milano. Un finanziamento ottenuto grazie all'ex Presidente del gruppo Massimo Ponzellini, indagato per associazione a delinquere. Il patron dell'Atlantis  è il figlio di tal "don" Gaetano Corallo, condannato negli anni '80 per l'assalto della mafia catanese di Nitto Santapaola al casinò di Sanremo. Col padre, però, dice di non avere niente da spartire. Un cognome ingombrante, certo, che però non gli ha impedito di vincere l'appalto dei Monopoli di Stato per le nuove slot machine.

La Corte dei Conti chiede 30 miliardi. Nel 2010 l'Atlantis entra nel mirino della Corte dei Conti. La magistratura contabile chiede alla società  31,3 miliardi tra sanzioni, multe per il mancato collegamento delle machinette mangiasoldi alla rete telematica di controllo e mancato prelievo dei contributi dovuti ai Monopoli per ogni giocata. Una cifra altissima, pari a una manovra finanziaria. L'Atlantis, e ci mancherebbe, non intende pagare nulla.

Arrivano le Fiamme gialle. Quando, poi, il 10 novembre scorso le Fiamme gialle si recano nella casa-ufficio di Corallo, questi prima oppone l'immunità diplomatica, in quanto ambasciatore della Repubblica Dominicana presso la Fao; poi, dato che alla Farnesina non risulta niente di tutto ciò, è costretto a far entrare i militari. Gli uomini della Gdf trovano un computer e lo impacchettano per portarlo via. Corallo non vuole, dice che non è suo, dice che è di Olga Lucia Mejia Aguirre, una sua collaboratrice che è lì in quello stesso ufficio.

Il deputato Laboccetta e l'immunità del pc. Poi il colpo di scena hollywoodiano. Nell'ufficio arriva il deputato del Pdl e membro della Commissione antimafia  Amedeo Laboccetta, già rappresentante di Atlantis Italia. Dice che il computer è suo e, in quanto tale, coperto da immunità parlamentare. Poi lo prende e lo porta via. La Procura dispone accertamenti per stabilire chi è il reale proprietario del computer, Laboccetta, via Ansa, continua a ribadire che il pc è suo. "E' sbalorditivo– dichiara all'agenzia di stampa- che qualcuno ipotizzi addirittura un favoreggiamento, di cui manca ogni presupposto giuridico oltre che di fatto. L'indagine, per quanto si legge sui giornali, si fonda su illazioni e congetture senza fondamento". Per i pubblici ministeri, però, in quel computer potrebbero esserci le prove relative agli affari tra Atlantis e Bpm. La Procura indaga Laboccetta per favoreggiamento e chiede alla giunta della Camera il permesso di poter sequestrare il pc.

Lo spirito di "leale collaborazione". Il deputato del Pdl dice ai suoi colleghi di non aver nulla da nascondere e di aver lasciato il pc a caricare su una sedia a casa Corallo. Olga Lucia Mejia Aguirre, poi, sarebbe la sua ex colf. Il 18 gennaio la giunta vota per la perquisizione e chiama l'aula a pronunciarsi. Laboccetta, però, anticipa tutti e 2 giorni dopo annuncia di aver consegnato spontaneamente il computer ai magistrati "perché il Paese ha questioni ben più importanti da affrontare". "Da parte mia non è mai mancato lo spirito di leale collaborazione" sottolinea l'onorevole che non aveva esitato a portarsi via il pc. Ma ora il pc sarà nelle stesse condizioni di quel 10 novembre? Qualcuno pensa proprio di no. E la casta torna a colpire, o, forse, non ha mai smesso di farlo.

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