Andiamo con ordine. Dopo settimane di tira e molla, dopo discorsi sull'equità e rassicurazioni paternaliste sulla caratura internazionale dei tecnici chiamati a tirare l'Italia fuori dalla crisi, l'esecutivo presenta al Parlamento una manovra che di fatto grava per circa mille euro su ogni famiglia, che colpisce pensionati e dipendenti pubblici, che non tocca i privilegi (o lo fa in maniera superficiale) limitandosi alla solita propaganda e finendo "nelle grinfie della politica, tra mediazioni, compromessi e reticenze". Di fronte a tale spettacolo, la reazione della classe politica italiana è a dir poco paradossale.
La Lega Nord si riscopre paladina della spesa pubblica, protestando contro i tagli (nelle terre del Grana Padano forse dimenticano qualcosa) e le nuove imposte (in particolare circa la reintroduzione dell'Ici, peraltro già prevista da una riforma del Berlusconi quater). L'Italia dei Valori, dopo calcoli e valutazioni che col merito del provvedimento c'entrano in misura marginale, opta per una bocciatura non definitiva che, se provoca qualche tensione con il Pd, almeno serve a "tenere buona" la base elettorale oltranzista. Pdl e Pd invece riescono a compiere un vero e proprio capolavoro. Il Popolo della Libertà (o almeno una parte) vota la manovra dei tecnicimaanchepolitici, ma allo stesso tempo prova a cavalcare l'ondata di malcontento sollevata dalla stessa manovra, seguendo la tecnica brevettata dagli ex alleati leghisti nelle passate legislature. Il Partito Democratico invece riesce a fare addirittura peggio, votando compatto una manovra che colpisce la propria base elettorale (e incide sulla "rete di relazioni" a sinistra), provando ad inserire qualche correttivo e firmando una paradossale "constatazione di amichevole dissenso" con l'esecutivo Monti: il tutto sobbarcandosi l'onere di difendere sul territorio i provvedimenti e l'impianto complessivo delle riforme. Un colpo di genio, non c'è che dire.
Ancora. Il Governo dei tecnici duri e puri, ha cominciato a discutere sulla necessità dell'apertura di un nuovo fronte, dopo aver presentato una riforma "rivedibile" (e ci siamo sforzati per trovare un eufemismo adatto), in cui non vi era traccia nè di equità (si vedano questioni pensioni e Ici alla Chiesa), nè di crescita, nè di un minimo di buonsenso (l'ostinazione con la quale Monti ha resistito all'ipotesi patrimoniale meriterebbe un case study…). Ovviamente stiamo parlando dell'eterno ritorno dell'articolo 18 e del mercato del lavoro, vere e proprie "emergenze" dei nostri tempi, da affrontare "con la massima urgenza", "senza preclusioni", con "fermezza" per la "crescita" e via discorrendo, secondo un copione recitato più volte negli ultimi anni nelle stanze della politica e nei salotti televisivi. E, pur essendo consapevoli della complessità del tema (più volte vi abbiamo segnalato opinioni e valutazioni di diverso tipo), almeno concedeteci una "moderata soddisfazione" nel notare un piccolo segnale di risveglio sulla sponda democratica…
Insomma se provassimo per un attimo ad addentrarci in quella che in gergo è chiamata "analisi di clima" (la diagnosi della situazione organizzativa e dei suoi fattori caratteristici, che riguardano gli individui ed i gruppi), il responso relativamente al nostro Paese non sarebbe di quelli da "consegnare alla storia". In parole più crude la fotografia del nostro Paese, alla luce degli ultimi avvenimenti, restituisce una visione più nitida di "quello che stiamo per diventare e per molti versi già siamo". Divisi ed incoerenti, aggressivi e sfiduciati, ubriachi di propaganda al punto da non riuscire a distinguere il giorno dalla notte, rassegnati ed impotenti di fronte al "Sistema", ma al tempo stesso voraci ed aggressivi nei confronti dei "nuovi nemici, di chi sta peggio di noi". Siamo, senza tema di smentita, il Paese del "divide et impera", dove la parola "cambiamento" non sembra aver ragione di esistere. E non è un titolo di cui andare orgogliosi.