Il nuovo ddl di FdI sulla bigenitorialità rischia di ignorare violenza domestica e disuguaglianze economiche

Un nuovo disegno di legge, che è passato quasi inosservato, rischia di modificare profondamente le normative italiane sulla separazione tra genitori e sull'affidamento dei minori. La proposta, a prima firma del senatore Alberto Balboni di Fratelli d'Italia, mira a rafforzare il principio di bigenitorialità, modificando l'istituto dell'affido condiviso, previsto dalla legge n. 54/2006, e introducendo un modello che prevede invece una parità assoluta tra i genitori. Nonostante l'intento di garantire maggiore equilibrio e diritti per i figli, il testo solleva preoccupazioni per le potenziali implicazioni in contesti segnati da violenza domestica, disparità economiche e conflitti familiari gravi. Tra le modifiche principali, si prevede infatti l'eliminazione dell'assegnazione automatica della casa familiare, l'introduzione del doppio domicilio per i figli, l'obbligo di mediazione familiare e una gestione del mantenimento che non tiene conto delle differenze economiche tra i genitori, imponendo una spartizione paritaria dei costi. Una visione dell'affido che, se non adeguatamente ponderata, rischia di ignorare le reali difficoltà che molte famiglie vivono, soprattutto in situazioni di alta conflittualità o violenza.
Il principio della "bigenitorialità perfetta"
Il principio cardine della proposta è quello della cosiddetta "bigenitorialità perfetta": secondo questa impostazione, entrambi i genitori devono partecipare in misura uguale alla crescita dei figli anche dopo la separazione, sia in termini di tempo che di decisioni educative, logistiche ed economiche. Il testo prevede, di fatto, una ripartizione paritaria dei tempi di permanenza con ciascun genitore, salvo "gravi motivi" che giustifichino una diversa scelta. Ma proprio l'assenza di una definizione chiara di cosa debba intendersi per "gravi motivi" potrebbe lasciare la porta aperta a un'applicazione indistinta del principio anche in situazioni profondamente squilibrate, dove la conflittualità è alimentata da episodi di violenza, controllo o abuso. Il testo non menziona mai esplicitamente la violenza domestica né sembra introdurre meccanismi di protezione per le vittime. In questo modo, il principio della parità dunque potrebbe rischiare di trasformarsi in automatismo, anche laddove le condizioni familiari richiederebbero un approccio più attento e differenziato.
L'eliminazione dell'assegnazione della casa familiare
Un altro punto critico riguarda la casa familiare: la proposta, infatti, prevede la cancellazione dell' "istituto" che consente al giudice di assegnare la casa al genitore presso cui i figli vivono stabilmente. Al suo posto, si introdurrebbe un sistema in cui nessuno dei due genitori avrebbe diritto di restare nella casa comune, salvo diversa decisione consensuale. Il rischio è che, in assenza di una reale parità economica tra i due, siano soprattutto le madri, che sono quelle più frequentemente in una condizione di fragilità economica dopo la separazione, a dover lasciare l'abitazione (e lo dimostrano i dati Inps e Istat), affrontando spese aggiuntive per affitti e traslochi, spesso a scapito della stabilità dei figli stessi. La previsione di un doppio domicilio del minore, obbligatorio per entrambi i genitori, introduce inoltre un elemento di complessità pratica e logistica che non sempre può essere sostenuto da famiglie che, dopo la separazione, vivono in contesti economici precari o in territori con servizi scolastici e sanitari difficilmente accessibili da entrambe le residenze.
Mantenimento e spese: addio alla proporzionalità
Il disegno di legge supererebbe anche il criterio, oggi vigente, della proporzionalità nel mantenimento. Secondo il nuovo assetto, entrambi i genitori dovranno infatti contribuire in egual misura, senza che si tenga conto delle rispettive capacità economiche. In altre parole, chi guadagna meno dovrà comunque coprire la metà delle spese. Una modifica che sembra però ignorare la realtà fotografata da statistiche e ricerche: le donne, soprattutto madri sole, continuano a essere più esposte alla precarietà lavorativa, alla discontinuità salariale, e più spesso si fanno carico del lavoro di cura, anche non retribuito. In questo quadro, una ripartizione rigida delle spese rischia di penalizzare chi già si trova in posizione di svantaggio.
La mediazione obbligatoria
Uno dei punti più controversi è poi l'obbligo, generalizzato, di intraprendere un percorso di mediazione familiare prima che il giudice possa intervenire. Il testo prevede infatti che entrambi i genitori siano obbligati a un percorso mediativo, anche quando ci sono denunce o segnalazioni per maltrattamenti, violenze o condotte coercitive. Anche in questi casi, l'accesso alla giustizia verrebbe subordinato a un tentativo di mediazione. Non è chiaro in che modo questa misura possa conciliarsi con il dovere di protezione nei confronti di chi ha subito violenza. La mediazione, per sua natura, presuppone parità e possibilità di dialogo: due condizioni che, in presenza di violenza domestica, non sono ovviamente realisticamente garantite. Il timore, espresso da diverse associazioni che si occupano di tutela delle donne e dei minori, è che dunque tale obbligo finisca per aggravare lo stress delle vittime, ridurre la loro autonomia decisionale e prolungare l'esposizione a dinamiche dannose.