Il “muro” dell’Europa nel Mediterraneo per fermare i migranti
Al termine dell'incontro con il premier libico Fayez al Serraj, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha ribadito l'intenzione dell'Unione europea di chiudere la rotta dalla Libia all'Italia. "Ora è tempo", ha spiegato.
Di questo e di altri punti del piano dell'Unione per affrontare l'immigrazione i leader europei discuteranno domani a Malta. Una strategia che sembra seguire direttive molto precise: rimpatri, accordi con paesi non europei, confini bloccati e affidamento alla Libia dei respingimenti in mare. Stando alle prime informazioni, la cifra che dovrebbe essere stanziata per la chiusura della rotta del Mediterraneo centrale dovrebbe essere di 200 milioni di euro. Dopo l'incontro di oggi con Tusk, Serraj ha detto che "l'ammontare dei soldi che l’Europa ha destinato alla Libia è una piccola cifra" e che per fermare i flussi di migranti che attraversano il Mediterraneo c'è bisogno di "un aiuto più concreto".
La decisione della chiusura della rotta nel Canale di Sicilia è stata motivata con l'alto numero di sbarchi e morti dell'ultimo anno. Nel 2016 sono stati 181 mila i migranti che hanno usato la rotta del Mediterraneo centrale, con un triste primato di decessi: circa cinquemila in dodici mesi.
Tusk ha detto che il flusso dei migranti su quel tratto "non è sostenibile" e che la chiusura è dovuta "prima di tutto a chi soffre e rischia la vita" ma "anche agli italiani e a tutti gli europei". L'idea dell'Ue di chiudere la rotta del Mediterraneo centrale e affidare alla Libia i respingimenti in mare dovrebbe avere lo scopo di lottare contro le reti "del traffico di esseri umani", "aiutare a gestire i flussi migratori", "continuare a salvare vite in mare" e "migliorare le condizioni di vita dei migranti"
Questo proposito, però, regge fino a un certo punto. La prima perplessità riguarda il paese che sarà maggiormente coinvolto in queste operazioni: la Libia. Sono state piuttosto numerose negli anni le denunce di Ong e associazioni per i diritti umani che spingevano a non considerare il paese come un interlocutore in tema di gestione e sicurezza di migranti e rifugiati. Solo quest'estate Amnesty International ha raccolto e reso note "orribili testimonianze di violenza sessuale, uccisioni, torture e persecuzione religiosa che confermano la scioccante dimensione degli abusi" che migranti e rifugiati subiscono "nel percorso verso la Libia e all'interno di questo paese".
Ricerche hanno mostrato che oltre il 75% dei migranti che si trovano in Libia ha subito violenza fisica e quasi un terzo di loro ha visto morire i compagni di viaggio; molti, invece, hanno riferito un indiretto o diretto coinvolgimento della polizia e della Guardia costiera libica in questi episodi di violenza. Come scrive su The Conversation Nando Sigona, sociologo italiano dell'Università di Birmingham, con l'accordo la situazione per rifugiati e migranti potrebbe peggiorare: "Se il ruolo rafforzato della Libia nel fermare le barche dei migranti dovesse comportare un ridimensionamento dell'impegno dell'Ue nella ricerca e soccorso" le morti in mare potrebbero solo aumentare.
L'organizzazione Save the Children ha già espresso preoccupazione per la nuova proposta Ue per fermare i flussi nel Mediterraneo centrale, definendo "inaccettabile" l'idea di respingere le persone in un paese destabilizzato come la Libia. "Ancora una volta, l’Unione Europea si sta sottraendo alla propria responsabilità di tutelare i diritti dei migranti, senza offrire alcuna garanzia a uomini, donne e bambini circa il loro futuro dopo che saranno respinti in Libia", ha detto Ester Asin, direttore dell’ufficio Advocacy Europa della Ong a Bruxelles.
L'altra questione è che chiudere le rotte non significa fermare i migranti, semmai esporli ad altri pericoli. La gente non sparisce, né rinuncia a partire se il canale che conosce è bloccato. Una dimostrazione in questo senso si è avuta in seguito all'accordo di marzo 2016 con la Turchia, con cui è stata chiusa la rotta balcanica. I migranti non hanno smesso di muoversi, hanno trovato e utilizzato altre strade o sono rimasti bloccati in condizioni terribili alle porte dell'Unione europea, come i migliaia di rifugiati intrappolati in una sorta di limbo in Serbia e sulle isole greche, tra temperature sotto lo zero e ripari di fortuna. Pagano "il prezzo del cinismo dell’Europa e del riprovevole patto con la Turchia", ha spiegato il capo missione di Msf in Grecia, Clement Perrin, secondo cui "è vergognoso vedere che nonostante tutte le promesse e i proclami dell’Europa, uomini, donne e bambini vivono nelle tende in queste condizioni".
"La Ue ha dimostrato di essere capace di chiudere le rotte di migrazioni irregolari, come ha fatto nella rotta del Mediterraneo orientale", ha detto Tusk, dimenticando che ad oggi non ne esistono – né sono in agenda – di regolari. Dietro l'ipocrisia del "salvare vite", ancora una volta l'Europa ha rinunciato a percorrere la via dell'accoglienza e dei percorsi sicuri, privilegiando pratiche e accordi che fino a questo momento hanno portato solo violenze, morti e diritti negati. Secondo Judith Sunderland, associate director for Europe and Central Asia di Human Rights Watch, "quella che l'Ue chiama ‘linea di protezione' in realtà potrebbe essere una linea di crudeltà ancora più profonda". Nulla di diverso da un muro, solo con un altro nome.