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Elezioni politiche 2018

Il MoVimento 5 Stelle può vincere le elezioni politiche?

È davvero così improbabile una vittoria del MoVimento 5 Stelle alle prossime elezioni politiche? Sì, stando a quanto dicono i sondaggi. Eppure, sulla scia di quanto successe cinque anni fa, i cinque stelle sono certi che la notte del 4 marzo 2018 riserverà delle sorprese…
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Nel febbraio del 2013, praticamente in ogni comizio o appuntamento pubblico, Beppe Grillo arringava la folla asserendo che il MoVimento 5 Stelle fosse ormai il primo partito d’Italia. Eppure, i sondaggi continuavano ad attribuire alla sua creatura un consenso tra il 15% e il 20%, mentre collocavano il PD intorno al 30%. La sera del 25 febbraio il dato reale mostrava come quelle di Grillo non fossero parole al vento, ma previsioni realistiche, con il MoVimento a pochi voti di distanza dal Partito Democratico di Pier Luigi Bersani (che restò primo partito solo grazie al voto degli elettori all’estero e conquistò il premio di maggioranza alla Camera grazie al decisivo apporto degli alleati).

Cos’era sfuggito ai sondaggisti? Difficile dirlo, probabilmente, come capita sempre più spesso, erano stati decisivi gli ultimi giorni di campagna elettorale, quelli più difficili da monitorare per gli istituti di rilevazione.

Non è semplice dire se accadrà lo stesso anche stavolta, ma è evidente che sugli indecisi e sui voti last minute si giocherà una parte fondamentale della competizione elettorale. Del resto, i dati che abbiamo ora a disposizione sembrano piuttosto chiari. Stando ad alcune rilevazioni il Movimento 5 Stelle si confermerebbe primo partito nel Paese, con una forbice dai 4 agli 8 punti di vantaggio sul Partito Democratico, mentre restano stabili Forza Italia, tra il 16% e il 18%, la Lega tra il 13% e il 15%, LeU al 6% e Fratelli d’Italia al 5%. Con queste percentuali, la distribuzione dei seggi premierebbe il centrodestra, che otterrebbe circa 260 / 280 seggi alla Camera dei deputati, mentre il centrosinistra e il Movimento 5 Stelle resterebbero sui 140 / 170 a testa e una trentina andrebbero a Liberi e Uguali.

Un pareggio annunciato, insomma, o al limite un successo del centrodestra. Con scenari piuttosto incerti, considerando che, come abbiamo provato a raccontarvi qui, non è così scontato che vada in porto il governo delle larghe intese.

Il MoVimento 5 Stelle deve dunque rassegnarsi a un’altra legislatura di subalternità, addolcita da una folta rappresentanza parlamentare e dall’irrobustimento della sua struttura interna, ora compiutamente verticistica e gerarchica? I numeri sembrerebbero indicare un esito scontato, ma allora perché Di Maio e compagni si ostinano a pensare di poter vincere, tanto da blindare le liste, aprire (sia pur con mille distinguo) a collaborazioni con altre forze politiche e cominciare a lavorare sui nomi per un eventuale esecutivo 5 Stelle?

La linea ufficiale, ossia quella dell’esecutivo di minoranza, con un programma grazie al quale “convincere gli altri partiti” a sostenere Di Maio a Palazzo Chigi, è buona per la campagna elettorale, forse, ma nessuno nei palazzi della politica è disposto a scommetterci un centesimo. Una eventuale alleanza organica con la Lega o Fratelli d’Italia appare molto improbabile, mentre Liberi e Uguali non avrebbe che una trentina di deputati e una decina di senatori da offrire.

C’è però chi spera nella sorpresa, il clamoroso risultato elettorale in grado di smentire i sondaggi e dare ai grillini una pattuglia ben più consistente di parlamentari. Come nel 2013, più del 2013, appunto. Ed è su questo che lo stato maggiore grillino sta ragionando, con la convinzione che "Rimborsopoli" possa rivelarsi un boomerang per gli altri partiti.

Il primo elemento che autorizza a pensare in grande è lo stato di salute dei competitor. Il Partito Democratico arriva all’appuntamento elettorale come peggio non si potrebbe, dopo una scissione problematica e mentre è in atto una costante e lenta operazione di delegittimazione del segretario, cui si imputa la responsabilità di aver lacerato il partito, tanto da rendere necessaria e impellente la “cura Gentiloni”, se si intende salvare il salvabile. Il centrodestra dovrebbe star meglio, ma la sensazione è che non abbia un bacino elettorale potenziale molto ampio; Berlusconi non è candidato, né spendibile per Chigi (per tante ragioni), i margini di manovra di Salvini sono limitati da una alleanza tanto ingombrante quanto necessaria con una formazione moderata ed europeista, Giorgia Meloni è inchiodata da mesi al 5% e a destra ha una concorrenza più forte delle altre volte. Liberi e Uguali si è rivelata una grande operazione di conservazione, tanto di una certa tipologia di elettorato, quanto di un gruppo dirigente.

Il secondo elemento riguarda la composizione del consenso verso i 5 Stelle. Anche i sondaggi mostrano come l’elettorato giovane sia maggiormente propenso ad appoggiare i candidati grillini, ma nel quadro di un evidente allineamento del voto su basi generazionali. Come spiegava Albertini, ciò accade “anche perché i giovani, al primo o al secondo voto importante, potrebbero avere trovato il loro partito e iniziato a esprimere un chiaro pattern politico, diverso da quello delle altre generazioni, con conseguenze importanti per le future tornate elettorali”. La base di consenso “strutturale” del MoVimento 5 Stelle, insomma, è in continua crescita, abbraccia diverse fasce d’età e “classi sociali” eterogenee e diverse fra loro. Tradotto in altri termini, c'è un numero sempre maggiore di persone che si è collocato politicamente sotto le insegne grilline.

Come detto, però, la vera partita si gioca sul voto last minute ed è interessante capire quale sia l’identikit dell’elettore che decide negli ultimissimi giorni di campagna elettorale.

Stiamo parlando innanzitutto di elettorato “non collocato politicamente”, che dunque potrebbe essere attratto dalle sirene del né di destra né di sinistra, specie se i Cinque Stelle riusciranno davvero a connotarsi come forza di rinnovamento e cambiamento della politica.

C’è poi una folta componente di persone, di età medio / alta, non altamente scolarizzata, che deciderà probabilmente in base all’evoluzione della campagna elettorale negli ultimi giorni. Ed è qui che il MoVimento 5 Stelle può giocarsi la partita, sulla scia di quanto avvenne nel febbraio del 2013. Monti, Bersani e Berlusconi arrivarono al rush finale completamente cotti, spompati, stanchi, convinti dell’ineluttabilità del risultato finale (una vittoria del centrosinistra con eventuale “aiutino al Senato” dei montiani). L’ultimo “duello televisivo” ne fu l’emblematica dimostrazione: una offerta politica piatta, una indistinguibilità di fondo, tremendamente profetica di ciò che sarebbe avvenuto nella legislatura successiva. Addirittura il giorno della chiusura della campagna elettorale, mentre Grillo portava centinaia di migliaia di persone in piazza, Bersani si chiudeva in un teatro coi suoi fedelissimi, lasciando fuori qualche centinaio di militanti.

La componente emozionale potrebbe giocare un ruolo importante nella scelta di un buon numero di elettori, tale da capovolgere le stime dei sondaggisti. Quanto, come e se i Cinque Stelle ne beneficeranno non è scontatissimo, dal momento che dipenderà anche da come agiranno le altre forze politiche in campo. Per ora la gara a chi la spara più grossa non sembra aver premiato nessuno, tanto da convincere Renzi a scegliere un approccio più moderato e responsabile. I Cinque Stelle hanno aperto il libro dei sogni forse troppo in fretta, ma hanno sempre l’asso nella manica da giocare negli ultimi giorni di campagna elettorale: la presentazione della squadra di governo, dei ministri “tecnici” e di quelli politici. Il tentativo è quello di convincere gli elettori indecisi di “poter vincere”, cavalcando una sorta di “voto utile di protesta”, un ossimoro in condizioni normali, una opzione in un contesto del genere. Si spiega in questo modo la tesi, ripetuta fino allo sfinimento ma ugualmente improbabile, secondo cui Mattarella potrebbe dare ai 5 Stelle un incarico anche senza una netta affermazione alle politiche.

In questo contesto va letta la gestione del caso "Rimborsopoli", con le annunciate espulsioni dei candidati di cui sarà accertato il comportamento scorretto. Di Maio e i vertici preferiscono rinunciare a 5, forse 10 parlamentari eletti, piuttosto che indebolire l'intero impianto della campagna elettorale. In altre parole, sacrificare qualche seggio per poter cavalcare il riflusso dell'onda generata dall'inchiesta de Le Iene e dal battage mediatico e politico.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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