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Il ministro Zangrillo vuole che i manager pubblici guadagnino più di 240mila euro l’anno

Il tetto massimo degli stipendi dei manager pubblici, che esiste dal 2011 ed è fissato a 240mila euro, dovrebbe essere alzato o eliminato. È la linea del ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, ribadita in diverse interviste. Secondo Zangrillo, per avere i “migliori” la Pa deve offrire stipendi competitivi.
A cura di Luca Pons
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Il ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, sarebbe favorevole ad alzare il tetto agli stipendi dei manager pubblici, che oggi è fissato a 240mila euro. "Non capisco perché nel privato un manager possa guadagnare più di 240mila euro e nel pubblico no", ha affermato oggi. E non è la prima volta che il ministro rivendica una posizione simile.

"Questo vale per le posizioni di grandissima responsabilità che richiedono competenza e vanno retribuite come tali. La mia idea è di affidarci a chi di mestiere definisci i livelli retributivi per posizioni di un certo tipo, non vedo perché i dipendenti pubblici debbano esser esclusi da queste dinamiche", ha spiegato a Un giorno da pecora su Rai Radio 1. Il tetto in questione nacque nel 2011 per opera del governo Monti, che si trovava a gestire un periodo complesso dal punto di vista economico e varò diverse misure di "austerità" per la spesa pubblica.

Il provvedimento venne poi modificato nel 2014, durante il governo Renzi, allargandolo, mentre nel 2022 si era tentato di far saltare questo limite del tutto, in Parlamento, per alcuni vertici di esercito e ministeri. Un tentativo che però era andato a vuoto, tanto che nel giro di poche ore la norma era stata redatta. Oggi, dunque, resta il limite previsto per tutti i dipendenti pubblici, qualunque sia il loro incarico, di 240mila euro all'anno.

Come detto, però, il ministro Zangrillo ha già fatto capire più volte che sarebbe sua intenzione alzare questa soglia, o anche sbarazzarsene del tutto. Il ragionamento è che nel settore privato i manager di alto livello guadagnano cifre ben più alte, anche nell'ordine dei milioni di euro all'anno, e quindi per attirare le persone più qualificate nella Pubblica amministrazione sarebbe necessario poter offrire uno stipendio competitivo.

Solo poche settimane fa, al Foglio, aveva ammesso: "In maggioranza non ne abbiamo parlato, ma è un ragionamento che prima o poi andrà fatto se l'obiettivo è quello di reclutare i migliori. Anche nel pubblico, come nel privato, le posizioni apicali comportano grandi responsabilità e, per ricoprirle, servono competenze specialistiche e capacità manageriali". Dunque, per migliorare la qualità della Pa bisognerebbe "guardare al pubblico come al privato".

Aveva continuato dicendo che è "impensabile continuare con la logica degli aumenti a pioggia e dei dipendenti tutti eccellenti", e che quindi bisognerebbe introdurre una logica di merito anche negli stipendi pubblici: "La Pubblica amministrazione, come qualunque altra organizzazione, deve assegnare obiettivi veri e sfidanti, in base ai quali riconoscere l'eccellenza, e deve disporre di un sistema di misurazione e di valutazione della performance coerente con l'assegnazione dei premi. Oggi tutto questo non esiste, è un processo meramente burocratico".

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