E così i dati del ministero del lavoro sui nuovi contratti erano sbagliati. Sono servite alcune ore e un po' di insistenza da parte dei giornalisti per avere i dati corretti e l'ammissione da parte del ministro del lavoro Poletti: "Si è trattato di errore umano". Come si parlasse di una strage aerea o di un atto terroristico. Il che spiega bene il livello di drammaticità a cui siamo arrivati ogni volta che ragiona sui dati del lavoro.
Come scrivono Il Corriere della Sera e Il Manifesto, nei primi sette mesi del 2015 si sono registrati 327.758 contratti a tempo indeterminato in più, e non 630.585 come comunicato in precedenza. Va dimezzato il numero dei contratti registrati in più a tempo indeterminato, comprese le stabilizzazioni. Il dato rimane comunque positivo rispetto ai 12.875 dei primi 7 mesi del 2014.
Ma il clamoroso errore nei dati del ministero è forse una buona occasione per ridiscutere questi dati. Se infatti ormai da mesi Matteo Renzi spaccia come grande vittoria i dati sul lavoro, sono due le considerazioni che possiamo trarre dal dibattito e dai numeri sul piatto del governo.
In primo luogo, questo considerevole aumento degli indeterminati è da ascriversi ai primi mesi dall'introduzione del nuovo contratto a tutele crescenti: da maggio i nuovi indeterminati aumentano in misura sempre minore. Nel mese di luglio, il saldo positivo dei contratti indeterminati, ad esempio è di 47 nuovi contratti al netto delle cessazioni, secondo quanto riporta la stessa nota del ministero. A maggio erano 271. Un po' pochino, rispetto ai primi mesi dell'anno, un po' poco per essere ottimisti.
Lo slancio dei primi mesi, come si è scritto più volte su Fanpage.it, era ampiamente prevedibile, dato che le aziende da mesi e anni aspettavano l'introduzione del nuovo contratto indeterminato a tutele crescenti senza articolo 18, che dà loro ampia libertà di licenziare il neo assunto nei primi tre anni di contratto. La prima considerazione è dunque semplice: i numeri sono positivi – e viva tutti – ma la tendenza è in diminuzione e questo il governo sembra non vederlo.
In secondo luogo si pone il problema politico. Il dibattito sui numeri dei contratti e del lavoro, fra Ministero del Lavoro, governo, Istat e Inps, è ormai diventato un campo di battaglia in cui non si riesce più ad intravedere il dato reale. Il governo utilizza, volta per volta, i dati più comodi all'annuncio facile, e con poca accuratezza nel controllo dei numeri.
Mi chiedo, ma la prossima volta come potremo fidarci dei dati del governo? Perché quello che emerge, oltre il problema del lavoro, è un problema di fiducia. Come scrive su Il Manifesto Marta Fana: "In Italia si persevera nell’idea che le informazioni statistiche siano un giocattolo ad uso e consumo dei governi e non invece il mezzo di sintesi che per eccellenza ci restituisce nitidamente i fatti".
E questo è un problema politico, che parla di fiducia, del rapporto fra governo, media e cittadini. Delle prassi che i ministeri e il governo utilizzano nel predisporre questi dati, e della maniera in cui quei dati vengono interpretati e lanciati ai media a mezzo annuncio, o in 140 caratteri su Twitter.
Certo, fare di un errore umano nella nota del ministero addirittura una questione di democrazia può sembrare esagerato. Ma questa non è la prima volta che il governo Renzi inciampa sui dati, in particolare sul lavoro. È vero, anzi, il contrario: la produzione e l'interpretazione dei dati sul lavoro è un problema costante del governo Renzi.
Penso, ad esempio, ai monitoraggi del ministero sul progetto Garanzia Giovani, che doveva dare ai giovani fino ai 29 anni un lavoro o un tirocinio in pochi mesi dal colloquio. Nei rapporti che il ministero elabora ogni settimana da oltre un anno, ancora, non riusciamo a capire quanti giovani abbiano trovato un impiego in questi 16 mesi. L'ultimo rapporto del 31 luglio, ad esempio, ci dice che sono 699mila i giovani registrati, 10mila in più rispetto alla settimana precedente.
Di questi sono 408.429 sono stati "presi a carico" da parte dei servizi per l'impiego, e cioè hanno fatto il colloquio conoscitivo. A 142.523 iscritti è stata "proposta una misura". Cioè un tirocinio, un part-time, un contratto a chiamata o a tempo… non è dato saperlo, né possiamo sapere quanti di loro oggi abbiano davvero trovato lavoro. Ma allora a che serve il monitoraggio?
Da una parte c'è la questione dei dati: errati, male intepretati, utilizzati a proprio piacimento. Dall'altra rimane il problema politico. Perché, la prossima volta, come faremo a fidarci dei dati del governo?