La relazione annuale sulle operazioni di import ed export di armi quest’anno arriva puntuale in Parlamento con l’analisi riferita al 2023. Questa però, denuncia Rete Pace e Disarmo, potrebbe essere l’ultima relazione con un buon grado di trasparenza, visti i progetti di modifica della legge 185/1990 da parte del governo Meloni. Lasciando per adesso sullo sfondo i rischi per il futuro normativo, già questi dati di mercato destano preoccupazione, sia rispetto ai destinatari delle armi vendute, sia per l’ormai costante aumento di esportazioni.
Un miliardo in più in esportazioni e affari anche con chi viola i diritti umani
Ai mercanti d’armi italiani è arrivato circa un miliardo di euro in più rispetto all’anno precedente: se nel 2022 il valore delle esportazioni era di 5.289 milioni di euro, nel 2023 la cifra ha raggiunto i 6.311 milioni. Prosegue quindi il trend di crescita ripreso nel 2021, quando, oltre ai nuovi aumenti nelle esportazioni di armi, si era registrato anche l’interessamento del settore difesa nei fondi PNRR e l’aumento record delle spese militari.
Nell’elenco dei destinatari delle armi italiane non mancano compratori verso i quali, almeno secondo i princìpi sul tema gli obblighi previsti dalla legge italiana e dal Trattato ATT sul commercio delle armi, non ci sarebbero dovute essere né trattative né esportazioni.
Oltre a Francia e Stati Uniti, dall'Italia hanno acquistato materiale d’armamento Arabia Saudita, Turchia, Azerbaijan e Kuwait, nonostante si registrino in questi paesi sistematiche violazioni di diritti umani. Verso l’Arabia Saudita, che, oltre a violare i diritti umani, aveva usato missili e bombe (italiane, come emerso dal rapporto delle Nazioni Unite), contro la popolazione civile in Yemen, le esportazioni d’armi erano state prima sospese, nel 2019, poi revocate, nel 2021. Il governo Meloni però, l’anno scorso, ha eliminato il divieto, in tempo per autorizzare commesse per 363 milioni di euro. Anche verso l’Ucraina ci sono licenze, rilasciate per un controvalore di 417 milioni di euro.
La denuncia di Rete Pace e Disarmo contro la riforma: serve più trasparenza
I destinatari di queste esportazioni, insomma, destano qualche perplessità, se non sincere inquietudini. La legge 185 del 1990 prevede infatti il divieto di vendere armi quando l’operazione è "in contrasto con la Costituzione", o anche se si rivolge a "Paesi in stato di conflitto armato" e a Paesi "i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani".
Ed è proprio questa la legge che il governo intende cambiare. Con un DDL a firma Crosetto, Giorgetti, Nordio, Piantedosi, Tajani e Urso, si vuole modificare la legge 185/1990, semplificando le procedure e assegnando a un organismo politico, il CISD, la scelta sui divieti da applicare, caso per caso. Nel testo originario, varato anche grazie all’opinione pubblica dell’epoca sensibile alle ragioni della pace, si anteponevano (almeno sulla carta) i diritti umani al mercato d'armi, imponendo un generale divieto di fare affari con attori di un conflitto o con Stati autoritari. A questi divieti generali si aggiungono procedure e controlli per le aziende che commerciano in armi, con obblighi di comunicazione delle operazioni effettuate, presentazione dei documenti sulle consegne e notifica dei flussi di cassa.
Anche questi obblighi verrebbero alleggeriti grazie alla proposta di riforma del governo, che è già stata approvata in Senato ed è approdata da qualche settimana in commissione alla Camera. Anche verso questa modifica si sofferma la preoccupazione di Rete Pace e Disarmo (che ha anche avviato una campagna sul tema): il progetto del governo Meloni, infatti, erode “in maniera significativa la trasparenza su questo tipo di commercio, diminuendo le tipologie e il quantitativo di dati che l’Esecutivo deve trasmettere al Parlamento e addirittura andando a eliminare completamente la parte della Relazione relativa ai flussi finanziari verso le banche”.
Le audizioni in difesa della legge 185/1990
"Il ddl di modifica della legge 185/1990 è un attacco alla trasparenza", ha ribadito Francesco Vignarca, della Rete Italiana Pace e Disarmo, durante una conferenza stampa alla Camera, insieme ad Anna Fasano di Banca Etica e con la deputata Laura Boldrini. "Senza la trasparenza si aumentano anche i rischi corruttivi. Ci preoccupa poi l'eliminazione dell'ufficio di coordinamento per i materiali di armamento presso la Presidenza del consiglio e che venga cancellato il comma che consentiva all'Uama (che decide l'export di armi) di confrontarsi con le ong nazionali e internazionali che si occupano dei diritti umani", ha aggiunto Vignarca.
L'ex presidente della Camera, da parte sua, ha denunciato come la maggioranza stia cercando di svuotare la legge 185/1990 "in una fase in cui si considera la guerra come una soluzione normale alla risoluzione delle controversie". Per poi concludere: "Governo e maggioranza hanno accelerato sulla riforma della legge 185, e questa è una resa all'industria militare che non vuole né argini, né limiti: considera tale legge un intralcio, dal momento che stabilisce che non si possono vendere armi a Paesi in guerra e che violano i diritti umani. Modificarla significa non legare più l'industria militare al servizio di una politica estera basata su pace e rispetto dei diritti umani. Tutto ciò è molto grave, perché si apre alla possibilità di un mercato selvaggio, che permette di esportare a qualsiasi Paese".