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Il manuale di Mario Draghi per salvare l’Europa, cosa ha scritto nel rapporto sull’Ue

L’ex presidente del Consiglio Mario Draghi ha pubblicato il suo rapporto sulla competitività dell’Unione europea: una “sfida esistenziale” da cui dipenderà il futuro dell’Ue, ha detto. Per affrontarla serviranno investimenti enormi, anche più grandi del Piano Marshall del secondo dopoguerra.
A cura di Luca Pons
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Mario Draghi, ex presidente della Banca centrale europea e presidente del Consiglio italiano, ha pubblicato il suo atteso rapporto sulla competitività dell'Unione europea. Il documento, lungo quasi 400 pagine, gli era stato richiesto dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen un anno fa. Negli scorsi mesi, nelle sue poche uscite pubbliche, Draghi aveva fatto riferimento ad alcuni dei temi principali che avrebbe trattato, suggerendo che per impedire di far scivolare l'Ue in un ruolo secondario a livello mondiale sarebbero serviti interventi decisi. Oggi, nella prefazione del rapporto, Draghi ha parlato di una vera e propria "sfida esistenziale" per l'Unione. Per affrontarla servono interventi pesanti – fino a 800 miliardi di euro all'anno – concentrati soprattutto su tre settori: l'innovazione, il clima e la difesa.

Perché senza questo piano l'Ue "perderà la sua ragion d'essere"

L'Ue negli ultimi anni si è allontanata sempre più dalla Cina e dagli Stati Uniti nella competizione globale. Il reddito disponibile delle famiglie è cresciuto del doppio negli Usa rispetto all'Europa, la spesa militare non è salita abbastanza (sempre perché c'erano gli Stati Uniti a ‘garantire' la sicurezza), negli ultimi anni il costo dell'energia è aumentato molto di più di Ue, la Cina è diventata direttamente competitiva in moltissimi settori. Così, oggi tra le cinquanta principali aziende mondiali del settore tecnologico, solo quattro sono europee.

I valori su cui l'Unione è fondata sono "prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in un ambiente sostenibile": tutelare questi diritti per i propri cittadini è il motivo stesso per cui l'Ue esiste. Quindi, "se l'Europa non sarà più in grado di garantirli avrà perso la sua ragione d'essere". "L'unico modo" di affrontare questa sfida "senza dover rinunciare ad alcuni dei valori fondamentali" è di "perseguire più crescita economica e maggiore produttività". E "l'unico modo" per farlo è che l'Europa cambi radicalmente". Siamo arrivati "al punto in cui, senza interventi, dovremo compromettere il nostro benessere, il nostro ambiente o la nostra libertà".

I punti fondamentali saranno tre: l'innovazione tecnologica; il clima (e quindi la transizione ecologica e digitale); la difesa. Ci sono dei problemi diffusi che valgono per tutti e tre: in generale, in Europa ci sono gli "obiettivi comuni", ma mancano le "azioni politiche congiunte" per raggiungerli. C'è troppa confusione nelle norme, e le grandi risorse economiche che l'Ue avrebbe a disposizione vengono sprecate in "molteplici strumenti nazionali e comunitari".

Quello che Draghi propone non è una linea teorica da seguire, ma un vero e proprio piano di investimenti. Per seguirlo, la spesa nei settori più importanti dovrà aumentare "di circa 5 punti percentuali del Pil" europeo: si parla di 750-800 miliardi di euro all'anno. Un livello che non si vedeva da decenni in Europa, e che supererebbe anche il Piano Marshall degli Stati Uniti, che arrivò a "circa l'1-2% del Pil l'anno" tra il 1948 e il 1951.

Cosa deve cambiare sull'innovazione

Come detto, il primo aspetto su cui puntare sarà quello dell'innovazione. Nell'Ue, tutte le società che hanno un valore di mercato sopra i 100 miliardi sono nate più di cinquant'anni fa. Negli Stati Uniti, invece, tutte e sei le società che valgono oltre mille miliardi di euro sono nate proprio in questo periodo. Questo è un esempio di come l'attenzione all'innovazione si sia spostata al di fuori dell'Unione.

Uno dei motivi sono le "normative incoerenti e restrittive" che colpiscono le aziende in Europa. Questo ha contribuito al fatto che quasi il 30% delle start-up nate in Europa tra il 2008 e il 2021 che poi hanno raggiunto una quotazione di oltre un miliardi di dollari (i cosiddetti unicorni) abbiano lasciato l'Ue e abbiano trasferito la propria sede all'estero, per la maggior parte negli Usa".

Le proposte di Draghi sul clima

Per quanto riguarda il clima, l'Europa deve tenere conto di due aspetti: da una parte la decarbonizzazione (che comunque deve avvenire "per il bene del pianeta"), dall'altra la transizione digitale e tecnologica. Il taglio delle emissioni inquinanti può essere "un'opportunità", ma gli "ambiziosi obiettivi climatici" dell'Ue devono avere anche "un piano coerente per raggiungerli". Altrimenti, senza un vero coordinamento tra le politiche nazionali, la decarbonizzazione potrebbe diventare un problema.

Il prezzo dell'energia è ancora molto alto, e per limitare l'effetto sulle famiglie del passaggio all'energia pulita – quello lamentato dai partiti che più si oppongono alle politiche ‘green', affermando che causino un aumento delle spese e danneggino l'economica – bisogna trovare un compromesso. L'opzione "più economica ed efficiente" sarebbe quella di "aumentare la dipendenza dalla Cina", acquistando i materiali e gli strumenti che possono facilitare la transizione.

Ma questo porterebbe "una minaccia per le nostre industrie produttive di tecnologie pulite e automobilistiche", vista la concorrenza della Cina che finanzia direttamente con fondi statali le imprese. Dunque, per trasformare la decarbonizzazione in un processo che faccia crescere l'Ue bisognerà elaborare un piano che tenga insieme le esigenze dei settori che permettono di ridurre le emissioni (tecnologie pulite e automotive) e quelli che producono energia.

I problemi con la spesa militare dell'Ue

Anche sul piano della politica estera, i Paesi dell'Ue devono iniziare a coordinarsi di più. Ad esempio, "l'industria della difesa è troppo frammentata". Così, nonostante la spesa militare dell'Ue sia la seconda più alta del mondo, gli effetti non si vedono. Questo approccio "ostacola la capacità di produrre su larga scala, e soffre di una mancanza di standardizzazione e interoperabilità delle attrezzature, che indebolisce la capacità dell'Europa di agire come potenza coesa". Un esempio: in Europa si producono dodici tipi diversi di carri armati, mentre negli Usa solamente uno.

Un altro dato sulla spesa militare è che il 78% della somma complessiva viene appaltata a aziende che non sono europee. In più, non si collabora nel campo dell'innovazione tecnologica. Insomma, anche senza arrivare a un esercito europeo, serve più coordinamento per non continuare a ‘sprecare' i soldi investiti nella difesa.

Chi pagherà per tutto questo e come deve cambiare l'Europa per farcela

Le ultime due questioni sono: come pagare tutti questi investimenti, e come cambiare la gestione politica dell'Ue per semplificarli. Per quanto riguarda la prima, l'Ue dovrebbe andare verso "l’emissione di strumenti di debito comune", come avvenuto con il Next Generation Eu che in Italia ha portato al Pnrr. Sempre con regole fiscali precise e con obiettivi chiari e definiti sull'utilizzo dei soldi in questione .Serve un "finanziamento comune", uno strumento che permetta di investire molto senza porre limiti impossibili per i Paesi in una situazione economica più difficile. Una proposta che, però, negli anni ha visto l'opposizione di una parte degli Stati Ue.

Poi c'è il modo in cui l'Unione europea funziona, politicamente. La sua struttura e le procedure interne fanno sì che servano 19 mesi, in media, per approvare una legge. Bisognerebbe iniziare, ad esempio, riducendo il ricorso al voto all'unanimità su una serie di temi. Affidarsi meno alla Commissione europea per stilare le norme. E allo stesso tempo applicare di più il principio di sussidiarietà, ovvero: le questioni su cui è meglio che ogni Stato si gestisca in modo autonomo, dovrebbero essere lasciate ai singoli Paesi; ma per i temi su cui serve un intervento più ampio, l'Ue dovrebbe avere più potere di agire.

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