Come ampiamente prevedibile, il mandato esplorativo mirato al Presidente del Senato Alberti Casellati si è concluso con la constatazione delle distanze che ancora restano fra la coalizione di centrodestra e il Movimento 5 Stelle. Nella relazione fatta al Capo dello Stato si constatava che i due gruppi erano e sono ancora sulle stesse posizioni delle scorse settimane: da una parte c'è un sostanziale veto su Berlusconi e Meloni, dall'altra si rivendica un ruolo di primo piano alla coalizione nella sua interezza. Tradotto in altro modo: Di Maio vuole governare solo con Salvini, il leader leghista non vuole scaricare Berlusconi e Meloni per non sedersi al tavolo di negoziazione da una posizione di debolezza.
Mattarella però non considera un fallimento la scelta di aver chiesto al Presidente del Senato di fare una sorta di terzo giro di consultazioni. Le discussioni e gli incontri di questi giorni, infatti, hanno determinato dei "piccoli aggiustamenti" che nelle prossime settimane potrebbero finanche essere decisivi per la formazione di un nuovo governo. Prima di tutto, con la fermezza del M5s e la reazione scomposta di Berlusconi, è tramontata definitivamente l'ipotesi di un governo politico M5s – Cdx. Poi, finalmente, Di Maio e Salvini sono usciti allo scoperto.
Il leader grillino ha infatti abbandonato ogni residua cautela e ha esplicitamente detto di poter fare "grandi cose" con Salvini. L'opzione Lega – M5s, in sostanza, non è solo una soluzione alla crisi di governo, ma è ormai vera e propria linea politica, oltre che la "sola possibilità" per Di Maio di guidare in prima persona l'esecutivo.
Salvini ha invece per la prima volta "minacciato" di scendere in campo personalmente, anticipando quella che potrebbe essere la sua richiesta nel caso del perdurare dello stallo: un incarico (pieno?) dalle mani del Capo dello Stato per cercare i numeri mancanti in Parlamento (opzione che, a quanto risulta, lascerebbe piuttosto freddo Mattarella, ma che non è da escludere se lo stallo proseguisse ancora a lungo). La sola cosa certa è che il dialogo fra i due non si è mai interrotto, anzi, si è intensificato.
Il Capo dello Stato, però, non vuole lasciare nulla di intentato ed è pronto a "coprire tutte le basi". Ed è per questo che il prossimo passo sarà l'incarico a Roberto Fico, Presidente della Camera e leader (informale) dell'ala "integralista" del Movimento 5 Stelle. Con qualche sostanziale novità, come nota Finzi su Ansa.it:
La "logica Casellati", cioè tempi contingentati e esplorazione solo su esecutivo centrodestra-M5s, potrebbe non essere ripetuta. Anche se c'è forte l'intenzione di "stanare" il Pd dalle sue ambiguità. Il presidente può infatti convocare il presidente della Camera al Quirinale già lunedì per affidargli un mandato esplorativo, senza postille. Una formula che chiaramente darebbe ampio respiro a Fico, sia politico che temporale, permettendogli di percorrere contemporaneamente almeno due vie: quella dell'esecutivo M5s-Pd, esigua nei numeri e ad oggi altamente improbabile per le divisioni dei Dem, e quella dell'intesa Lega-M5s che presuppone uno strappo irreparabile nel centrodestra.
Il senso di un incarico di questo tipo a Fico è duplice: da un lato si offre al PD l'unica vera occasione di scendere dall'Aventino, dall'altro si regala tempo ulteriore a Di Maio e Salvini per trovare l'intesa. Ai democratici, infatti, Mattarella sta offrendo una occasione pressoché unica: aprire un tavolo di concertazione col M5s, dettare per la prima volta l'agenda politica, mettere Di Maio con le spalle al muro, costringendolo ad "abbassare le pretese per il bene del Paese". Ragionamenti che all'interno del PD ci sono da giorni: accettare come unico interlocutore il Presidente della Camera, uomo decisamente non allineato al duo Casaleggio – Di Maio, impostare un confronto sui programmi e chiedere come "precondizione" un passo indietro del leader M5s. L'orizzonte sarebbe quello di un governo "politico", non di un appoggio incondizionato a un monocolore grillino.
Più facile a dirsi che a farsi, ovviamente. Perché i renziani insistono sulla linea del "non si tratta con nessuno". Perché anche i pontieri democratici sanno che mancano le garanzie che il M5s non faccia saltare eventuali accordi in base alla propria convenienza politica (è il vecchio discorso dell'inaffidabilità dei grillini, che in casa dem si ripete a ogni ipotesi di accordo). Perché restano differenze sostanziali fra le due piattaforme programmatiche (oltre che anni di insulti reciproci). Perché non c'è mai stata la disponibilità del M5s a un governo politico. Perché accettare di essere "alleato di seconda scelta" è dura. E perché Di Maio difficilmente accetterà veti sulla sua persona, rivendicando "il mandato ricevuto dai cittadini".
Servirà ancora tempo, insomma. E, malgrado gli ultimatum, la sensazione è che i due forni del M5s siano ancora aperti e che lo saranno ancora a lungo.