"Si osserva una rapida crescita dell'incidenza, impossibilità sempre più frequente di tenere traccia di tutte le catene di trasmissione e rapido aumento del carico sui servizi assistenziali con aumento dei tassi di occupazione dei posti letto ospedalieri sia in area critica che non critica". Queste parole sono state messe nero su bianco dall'Istituto Superiore di Sanità nel suo report settimanale sull’evoluzione dell’epidemia di Covid-19 in Italia. E che vi piaccia o meno sono l’anticamera del lockdown, nazionale o per interposte Regioni che sia, per almeno cinque buoni motivi.
Il primo è la crescita dell’incidenza dei positivi sul totale delle persone testate. Più precisamente siamo al 10,5% dei tamponi totali e al 15% circa di quelli diagnostici, finalizzati cioè a cercare nuove infezioni. La scorsa settimana, 10 tamponi diagnostici su 100 riscontravano nuovi casi positivi, quella prima 6,5 circa. L’aumento dell’incidenza dei positivi sul totale delle persone testate, non è solo la prova del fatto che il virus si sta diffondendo più rapidamente di prima nella popolazione italiana. È anche – e soprattutto – la prova che il virus corre più veloce dei nostri tentativi di scovarlo.
Il secondo motivo, per l’appunto, è che non siamo più in grado di tracciare l’evoluzione dei contagi. Se facessimo il triplo dei tamponi di oggi troveremmo molti meno positivi, in percentuale, perché testeremmo anche molti asintomatici, o persone che non sono venute a contatto con positivi. Se il virus si diffonde più di quanto si diffondano i tamponi, invece, è molto più probabile che vengano testate – e isolate – solo le persone con sintomi. Col risultato che gli asintomatici possono uscire liberamente e infettare chiunque incontrino. Fino a che non peggiorano, ovviamente.
Il terzo motivo è che gli asintomatici, per l’appunto, rischiano di peggiorare. È allora che scopriamo che sono infetti, E più ce ne sono, che peggiorano, più tardi riscontriamo la malattia. E più tardi riscontriamo la malattia, più è facile che venga scoperta quando è necessario un ricovero, o un respiratore.
Il quarto motivo è che più i malati finiscono nelle terapie intensive e sub intensive, più la pressione sul sistema sanitario aumenta. E arriva il momento in cui ci sono regioni che sono costrette a chiudere tutto prima che questa pressione si tramuti in una piena occupazione di tutti i posti letto per malati Covid, col rischio che si ripeta quando accaduto a marzo: che le persone muoiano da sole in casa, o in una casa di riposo, senza tampone e senza cure, perché non ce ne sono per loro.
Il quinto motivo è che tutto questo, a differenza di quanto accaduto a marzo, è diffuso su tutto il territorio nazionale. Stavolta non c’è Bergamo e non c’è il Nord Ovest. Ci sono le quattro più grandi città italiane – Milano, Napoli, Roma e Torino – con un numero enorme di contagi e un’indice di diffusione altissimo. E poi ci sono 24 province con più di 200 casi ciascuna, 42 con più di 100 casi e 7500 focolai attivi in tutto il territorio nazionale. Per questo, ancor più che a marzo, ha poco senso chiudere a macchia di leopardo. Per questo, ancor più che a marzo, ogni minuto è prezioso per evitare il disastro. L’inverno finisce a marzo, e da qui alla fine del grande freddo ci sono quattro mesi lunghi come l’eternità.
Lo sappiamo: il lockdown fa schifo e avremmo potuto e dovuto evitarlo, totale o dimezzato, nazionale o regionale che sia. Arrivati a questo punto, tuttavia, è difficile trovare un altro modo per flettere la curva, per tornare ad avere un numero di contagi che ci permetta di scovare gli asintomatici e tracciare i casi a contatto con i positivi, per svuotare le terapie intensive e per circoscrivere, e spegnere, più focolai possibili. Poi sì, ci toccherà fare la conta dei morti, dei feriti e delle responsabilità. Ora, invece, serve solo agire.