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Opinioni

Il governo ora chiede aiuto alle Ong per salvare i migranti: è la prova che la flotta civile è necessaria

Lo stesso governo che ha cercato di delegittimare e criminalizzare le Ong in ogni modo, ora chiede loro aiuto per soccorrere le persone in mare. Con il numero degli sbarchi più che raddoppiato forse ci si è resi conto che la flotta civile è più che mai indispensabile per salvare vite nel Mediterraneo.
A cura di Annalisa Girardi
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Immagine di repertorio
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Dopo averle chiamate "taxi del mare", accusandole di essere pull factor e complici degli scafisti; dopo averle sequestrate o mandate in porti sempre più a Nord per tenerle lontane dal Mediterraneo centrale; dopo averle multate e criminalizzate, ora il governo chiede aiuto alle navi Ong per salvare i migranti in mare. Accade da oltre un mese: lo stesso governo che in campagna elettorale parlava di blocco navale e che, in uno dei suoi primi provvedimenti varati ostacolava per legge i soccorsi multipli, ora sembrerebbe essersi reso conto che in mare c'è bisogno della flotta civile.

Dall'inizio dell'anno sono sbarcati in Italia oltre 100mila migranti, più del doppio di quelli arrivati nello stesso periodo del 2022. Sono numeri che, soprattutto ora nei mesi estivi – quando le partenze fisiologicamente aumentano viste le condizioni meteorologiche favorevoli – tengono impegnate tutte le navi presenti nel Mediterraneo, che si tratti di Guardia costiera o delle Ong.

"In mare serve l'aiuto di tutti"

A inizio agosto Open Arms ha diffuso sui suoi canali social un video che mostra la situazione al largo: si vedono barchini da ogni lato, con l'orizzonte letteralmente disseminato di gommoni. Ogni nave presente, di conseguenza, si ritrova impegnata in un'operazione di soccorso dietro l'altra.

"Dopo aver portato a termine sette operazioni di soccorso, tutte coordinate dalla Guardia costiera italiana, questa è la situazione che la nostra nave deve affrontare in questi minuti con 264 persone a bordo. Non ci sono altre navi umanitarie in mare, né motovedette della Guardia costiera. Una situazione complessa che dimostra che in mare serve l’aiuto di tutti", scriveva la Ong spagnola.

A gestire queste operazioni è il Centro di coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc) di Roma. Si tratta di un organismo che risponde alla Guardia costiera, la quale a sua volta dipende dal ministero dei Trasporti, attualmente guidato da Matteo Salvini. Normalmente funziona così: una volta ricevuta la notizia di un barchino in difficoltà, coordinandosi con le autorità degli altri Paesi mediterranei (se ad esempio l'imbarcazione si trova in acque internazionali o comunque fuori dalla zona Sar italiana), dal Mrcc di Roma vengono inviate le motovedette della Guardia costiera o della Guardia di finanza per effettuare il soccorso.

Come funzionano le operazioni di soccorso

Di solito le autorità italiane non chiedono alle navi umanitarie di intervenire, ma si servono della propria flotta o collaborano con quella degli altri Stati che si affacciano sul Mediterraneo. Da parte loro, le navi Ong portano a termine le operazioni di soccorso in autonomia – spesso dirigendosi verso le coordinate segnalate da Alarm Phone o dagli aerei di ricognizione delle stesse organizzazioni – per poi comunicare al Mrcc il salvataggio effettuato. A quel punto da Roma viene trasmessa l'indicazione del porto verso cui dirigersi.

Ultimamente però sono talmente tante le imbarcazioni che attraversano il Mediterraneo che il Mrcc italiano ha chiesto supporto alle navi Ong, incaricandole di dirigersi verso un gommone in difficoltà o un barchino alla deriva. Ad esempio, lo scorso 11 agosto, l'Ong Sos Mediterranee scriveva su Twitter di essere stata incaricata proprio dalle autorità italiane di "assistere i casi di soccorso a Sud-Ovest di Lampedusa" e che la sua nave, la Ocean Viking, stesse "conducendo senza sosta soccorsi da più di 42 ore".

Un mese prima, a metà luglio, Medici Senza Frontiere, sempre sui propri canali social raccontava di aver portato a termine diverse operazioni di soccorso in zona Sar maltese, tutte coordinate dal Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma. Insomma, le autorità italiane si trovano a coordinare proprio quei soccorsi multipli da parte delle navi Ong che il codice di condotta del governo Meloni cerca di ostacolare.

La versione del ministro Piantedosi

Secondo il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, il livello di collaborazione di queste settimane tra autorità e Ong dimostrerebbe che da parte del governo non ci siano mai stati pregiudizi nei confronti delle navi umanitarie. Ma solo la necessità di gestire diversamente le operazioni nel Mediterraneo. In in un'intervista al Messaggero pubblicata a Ferragosto, il titolare del Viminale diceva:

Quel che sta accadendo è la riprova che non abbiamo mai avuto pregiudizi. L'applicazione del decreto di febbraio sul codice di comportamento delle Ong ha voluto solo affermare che, in uno scenario così complesso, non ci fossero soggetti privati che si muovessero autonomamente, sottraendosi al doveroso coordinamento delle autorità nazionali stabilito dall'ordinamento internazionale.

Insomma, semplicemente "adesso anche le Ong agiscono sotto le direttive della Guardia costiera italiana". Smentendo uno degli argomenti principali di chi sostiene che le Ong fungano da pull factor – tesi abbracciata diverse volte dallo stesso Piantedosi – il ministro ha anche sottolineato che comunque le navi umanitarie si stiano facendo carico di una piccola parte dei soccorsi, in confronto a Guardia costiera e di Finanza.

Le Ong sole nel Mediterraneo

Ma quindi, prima di questa estate le navi Ong non seguivano le indicazioni del Mrcc e ora improvvisamente sì?

Le cose non stanno esattamente così. Il punto è che dopo l'operazione Mare Nostrum, lanciata nel 2013 dopo un terribile naufragio al largo di Lampedusa in cui persero la vita almeno 368 persone, le autorità italiane ed europee non hanno più messo in campo missioni di Search and Rescue nel Mediterraneo centrale. Lasciando, di conseguenza, le navi della flotta civile ad essere spesso le uniche a operare sistematicamente in questo tratto di mare per soccorrere i migranti alla deriva.

Mare Nostrum si è conclusa nel 2014 e in seguito ci sono state missioni come Triton e Themis di Frontex, o Sophia e Irini, operazioni militari dell'Unione europea. Queste hanno avuto come obiettivi il controllo dei confini e il contrasto dei flussi illegali, in modo da smantellare i traffici di esseri umani. Non c'è stato solo un processo di militarizzazione delle frontiere, ma anche di esternalizzazione delle stesse. Cioè l'appalto a Paesi terzi – come la Libia o più recentemente la Tunisia – di tutte quelle iniziative volte a impedire le partenze. Si tratta di politiche che sono state fortemente criticate dalle organizzazioni, in quanto bloccare le persone prima che arrivino in territorio europeo spesso significa precludere loro la possibilità di fare richiesta di asilo, un diritto che deve essere invece internazionalmente riconosciuto.

Ad ogni modo, in questi anni, mentre si riducevano le flotte degli Stati europei, quelle civili hanno continuato a fare ricerca e soccorso in mare. Oggi, con il numero degli sbarchi che è raddoppiato – se non addirittura triplicato – rispetto agli anni precedenti, continuano a essere in prima linea nel soccorso in mare. E anche le autorità si sono rese conto di quanto sia indispensabile il loro supporto.

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A Fanpage.it sono vice capoarea della sezione Politica. Mi appassiona scrivere di battaglie di genere e lotta alle diseguaglianze. Dalla redazione romana, provo a raccontare la quotidianità politica di sempre con parole nuove.
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