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Opinioni

Il governo non ha mai avuto intenzione di parlare di aborto al G7 in Puglia

La verità è che Giorgia Meloni non ha mai avuto la reale intenzione di discutere del tema al G7 a Borgo Egnazia in Puglia: lo dimostrano i documenti trapelati.
A cura di Jennifer Guerra
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Secondo fonti europee, il governo si sarebbe opposto all’inserimento dell’“accesso effettivo e sicuro all'aborto” nella bozza della dichiarazione finale del G7 che si è aperto oggi a Borgo Egnazia, contrariamente a quanto era avvenuto nelle edizioni precedenti. In una bozza ottenuta dal quotidiano Euronews, l’Italia avrebbe suggerito di modificare il testo sostituendo la parola “aborto” con “la salute e i diritti riproduttivi” e di aggiungere un riferimento alla “salute materna, neonatale, infantile e adolescenziale, in particolare per coloro che si trovano in circostanze vulnerabili”, una frase che è stata interpretata come un riferimento “pro-life”.

In conferenza stampa, la premier Giorgia Meloni ha specificato che si tratta appunto di una bozza e che il documento finale approvato sarà frutto di una negoziazione tra i Paesi membri del G7, ma la direzione che questo summit ha preso sui diritti riproduttivi e, più in generale, sulle questioni di genere è chiara da tempo.

Basta infatti leggere le raccomandazioni del G7 Gender Equality Advisory Council (GEAC), nominato dalla ministra della Natalità Eugenia Roccella e presieduto da Marina Terragni, giornalista femminista che ha espresso più volte opinioni molto controverse sui temi di genere e i diritti LGBTQ+ e ha più volte dimostrato il suo sostegno a Meloni. Ad aprile, Terragni era già stata ospite della conferenza programmatica di Fratelli d’Italia e nel 2023 aveva già partecipato al GEAC del G7 del 2023 in Giappone, quando Meloni era già al governo. Nella composizione del board di Roccella spiccano inoltre figure come Marco Del Giudice, professore di psicologia evoluzionista dell’Università di Trieste critico nei confronti dell’identità di genere, o Lierre Keith, fondatrice di Women’s Liberation Front, un’associazione che è stata descritta come Terf (femminista radicale trans-escludente) e ha diversi legami con la destra cristiana fondamentalista americana.

Il GEAC ha il compito di redigere delle raccomandazioni per i leader del G7 e, al termine dei lavori, scrivere un rapporto sulle questioni di genere. Confrontando le raccomandazioni del G7 italiano con quelle precedenti appare evidente il taglio conservatore del nuovo board: sono spariti i riferimenti ai diritti riproduttivi, ad esclusione di un passaggio in cui si chiede di “investire in programmi di educazione affettiva e sessuale per le giovani generazioni dedicati alla lotta contro il sessismo, con un'attenzione specifica al rispetto reciproco tra donne e uomini e ai diritti sessuali e riproduttivi”.

Raccomandare l’educazione ai diritti riproduttivi è ben diverso dal pretendere che siano garantiti. Lo scorso anno, il GEAC del G7 in Giappone chiedeva “l'accesso a un'assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva di qualità”; quello del 2022 in Germania di “utilizzare un approccio intersezionale per garantire pari accesso [all’]assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva”; quello del 2021 in Gran Bretagna citava fra i problemi da risolvere il ridotto “accesso a servizi essenziali per le donne, inclusa la salute sessuale e riproduttiva” causato dalla pandemia e raccomandava la creazione di un “pacchetto completo di servizi di salute sessuale e riproduttiva per le sopravvissute alla violenza” nelle zone di conflitto. Un tono completamente diverso dal GEAC del 2024, dove sono spariti anche tutti i riferimenti alle questioni LGBTQ+ e all’intersezionalità.

A prescindere da quale sarà il testo approvato del documento finale del G7 di Borgo Egnazia, insomma, appare evidente che il governo non avesse alcuna intenzione di trattare il tema dell’aborto in quella sede.

Il governo di Meloni, sin dalla campagna elettorale, è stato sotto scrutinio dalla stampa internazionale sui diritti riproduttivi. Le sue decisioni in materia, come quella di legittimare la presenza delle associazioni antiabortiste nei consultori, sono state molto criticate all’estero, ad esempio dalla ministra spagnola per le Pari opportunità Ana Redondo. Meloni si è sempre difesa dicendo di non aver alcuna intenzione di cambiare la legge 194. In effetti, la premier è molto attenta a non mostrarsi apertamente ostile al diritto d’aborto, forse anche per promuovere la sua immagine internazionale di moderata, perché sa che questo diritto si può ostacolare in maniera meno evidente.

In una sede come quella del G7, però, Meloni gioca col fuoco: la Francia ha recentemente inserito l’aborto nella costituzione e negli Stati Uniti, dove è stato in gran parte vietato da una sentenza della Corte Suprema nel 2022, il presidente Biden ne ha difeso più volte la legittimità. Le strategie della premier contro l’aborto possono forse funzionare quando sono ben nascoste fra le pile di emendamenti della politica italiana, ma usare un’occasione come il G7 per promuovere la sua linea antiabortista potrebbe essere il primo passo falso nella credibilità dell’immagine di una Meloni moderata.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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