Il governo Meloni vuole raddoppiare il gas estratto dall’Adriatico e fare nuove trivellazioni
"I nostri mari possiedono giacimenti di gas che abbiamo il dovere di sfruttare appieno", ha detto Giorgia Meloni nel suo discorso programmatico. Pochi giorni dopo Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, torna a proporre il suo piano per il gas naturale: raddoppiare l'estrazione dai giacimenti esistenti, e poi partire con nuove trivellazioni.
"L’energia fa muovere l’industria", afferma Urso in un'intervista al Messaggero, quindi "uno dei nostri obiettivi è sviluppare un piano che ci renderà il più velocemente possibile meno dipendenti e poi ci trasformerà nell’hub energetico del Mediterraneo". Per avvicinarsi all'indipendenza energetica ci sono "più fronti", ma il primo è "raddoppiare la produzione di gas nazionale dagli attuali giacimenti".
L'estrazione di gas, afferma Urso, è anche una questione geopolitica: mentre "dieci anni fa estraevamo 13 miliardi di metri cubi l’anno" nel 2022 "siamo scesi a 3. I dieci miliardi mancanti sono quelli acquistati in più dalla Russia, un’idiozia. La raddoppieremo arrivando a 6, di nuovo". Il fabbisogno di gas in Italia, nel 2021, è stato di circa 76 miliardi di metri cubi.
Questo punto era già contenuto nel programma del centrodestra per le elezioni. Si parlava di "riattivazione e nuova realizzazione dei pozzi di gas naturale", e infatti Urso specifica che, per quanto riguarda le trivellazioni, "ne autorizzeremo di nuove nel mar Adriatico centrale, dove altri Paesi già estraggono".
Prima della caduta del governo Draghi, a giugno, anche il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani aveva parlato di "ridurre il gas totale, aumentando il gas che ci servirà dai nostri giacimenti", promuovendo un progetto simile a quello descritto da Urso. Per farlo, bisognerebbe ridisegnare la mappa delle zone che sono considerate idonee a estrarre idrocarburi: al momento l'Adriatico settentrionale (la zona di Veneto e Romagna) ha dei vincoli più stringenti di quello centrale e meridionale.
Fratelli d'Italia e il gas, retrofront dopo il referendum del 2016
La posizione del centrodestra, e di Fratelli d'Italia in particolare, è molto cambiata negli ultimi 6 anni. Nel 2016 si tenne un referendum che fu chiamato "sulle trivelle": si trattava di decidere se vietare il rinnovo delle concessioni di gas e petrolio nei giacimenti che già esistevano entro una certa distanza (12 miglia, ovvero 19 chilometri) dalle coste italiane.
Il referendum non raggiunse il quorum – votò poco più del 30% degli aventi diritto – ma Giorgia Meloni si schierò decisamente contro il rinnovo delle concessioni. Lo scrisse in un post su Facebook e lo spiegò in un'intervista, in cui disse che si opponeva perché i giacimenti esistenti avrebbero fornito "un approvvigionamento energetico in buona sostanza nullo o assolutamente minimale, che però inquina parecchio il nostro mare".
Meloni affermò che "quasi l'80% delle cozze e vongole che vengono pescate intorno alle piattaforme di estrazione hanno una concentrazione di inquinamento molto più alta delle condizioni di legge", concludendo che il rinnovo delle concessioni fino all'esaurimento del pozzo "incide malamente sul nostro ambiente e aiuta alcune grandi lobby che sono legate a questo governo".