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Opinioni

Il governo Meloni non sta riuscendo a fare nulla di quel che aveva promesso

Dovevano essere pronti, ma per il momento Giorgia Meloni e i suoi si sono solo rivelati senza idee, e incapaci di realizzare quelle poche che avevano. Dall’immigrazione alla benzina, dalle tasse ai salari, cronaca di un (quasi) anno non molto esaltante.
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Gli sbarchi raddoppiati al posto del blocco navale, la benzina alle stelle anziché le accise cancellate, la flat tax di cui nessuno parla più, il lavoro povero che dilaga nonostante le promesse di taglio del cuneo fiscale, il turismo in rosso nonostante la retorica patriottica e Open to Meraviglia, la natalità ai minimi termini, la riforma Fornero delle pensioni che vive e lotta insieme a noi, le riforme istituzionali lontanissime e una maggioranza che scricchiola e litiga su ogni cosa, dalle alleanze in Europa alla tassa sugli extraprofitti.

Non è allarme rosso, per il governo Meloni, ma di sicuro qualche nube in cielo si addensa su Palazzo Chigi, nonostante l’estate torrida. Perché più che ogni singolo provvedimento su cui il governo arranca, quel che sorprende è la distanza siderale tra le promesse della coalizione di destra in campagna elettorale e la dura realtà di quasi un anno di governo.

I 100mila sbarchi del 2023, raddoppiati rispetto a un anno fa, sono a loro modo l’esempio principe della voragine che separa sogni e realtà di Meloni e dei suoi sodali. Così come del resto il paradosso della guardia costiera che chiede alle organizzazioni non governative cui il governo chiudeva i porti di dare una mano coi soccorsi. Doveva essere, il contrasto all’immigrazione cosiddetta clandestina, il vero punto di discontinuità del governo della destra, tanto più dopo la tragedia di Cutro e dopo tutte le fanfare che hanno accompagnato l’autodefinito Piano Mattei di Giorgia Meloni. Il risultato che abbiamo sotto agli occhi è un fenomeno totalmente fuori controllo ai confini del Paese, e mal gestito al loro interno, coi Centri di Accoglienza Straordinaria a cui è stato tagliato ogni servizio di base e con la cancellazione dl sistema di accoglienza integrata per i rifugiati politici.

La questione benzina, allo stesso modo, rappresenta uno smacco non indifferente per la coalizione che promette il taglio delle accise a ogni campagna elettorale. A oggi, le accise sono ancora lì. E i prezzi, nonostante gli interventi del governo e i cartelli affissi presso i distributori sono sempre più alle stelle. Anche in questo caso, soluzioni all’orizzonte non se ne intravedono. Se non quella di allargare le bracciae sperare nella benevolenza della mano invisibile del mercato.

Un po’ quel che succede col potere d’acquisto di lavoratori, ridotto ai minimi termini dall’inflazione – che il governo non ha la più pallida idea di come fermare -, e dagli stipendi bassissimi del mercato del lavoro italiano, con gli imprenditori che vedono come uno spauracchio anche solo la prospettiva di dover pagare, come minimo, nove euro l’ora a un loro dipendente. Anche in questo caso, zero totale. Stop alla proposta di salario minimo delle opposizioni e palla in tribuna – o meglio, al Cnel– per elaborare una proposta complessiva, nella più andreottiana tradizione del tirare a campare per non tirare le cuoia.  Nel frattempo, per rifinanziare quel minimo di taglio al cuneo fiscale messo in legge di bilancio lo scorso anno, il governo è stato costretto a tassare gli extraprofitti delle banche, bruciando 9 miliardi di capitalizzazione di borsa in un giorno e scatenando mal di pancia in mezza maggioranza.

Potremmo continuare con le tasse e con la chimera dell’aliquota unica – altrimenti detta flat tax – che tale rimarrà per un bel po’ visto il debito pubblico che cresce, i parametri di Maastricht che tornano e la necessità di far quadrare i conti senza perdere gettito fiscale. O con le politiche a favore della natalità al palo – tradotto: soldi e servizi per i futuri genitori – sostituite da slogan e battaglie culturali di retroguardia contro l’aborto, l’ideologia gender e la generazione spritz. O ancora, con una riforma della riforma Fornero che Salvini e Meloni sbandierano da dieci anni abbondanti – e su cui hanno costruito buona parte del loro consenso – che ancora non si sa bene come imbastiranno, e soprattutto con che soldi lo faranno. Senza parlare delle riforme istituzionali e del semi presidenzialismo, che probabilmente torneranno fuori alla bisogna, quando ci sarà da riempire qualche pagina di giornale. O del flop del turismo estivo, dopo anni di boom.

Dovevano essere pronti, insomma, ma per il momento Giorgia Meloni e i suoi si sono solo rivelati senza idee, e incapaci di realizzare quelle poche che avevano. Per essere il battesimo di una coalizione politica che finalmente tornava al governo per rispettare il voto degli elettori dopo anni di larghe intese e governi tecnici, non esattamente il massimo della vita.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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