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Il governo Meloni approva il bavaglio per giornalisti, vietato pubblicare atti di indagini: cosa cambia

Il decreto legislativo approvato oggi dal Consiglio dei ministri vieta di pubblicare non solo le ordinanze cautelari, ma anche altri atti delle indagini che non sono coperti da segreto. Non aumenteranno invece le multe per chi lo fa, come aveva richiesto il Parlamento.
A cura di Luca Pons
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Vietato pubblicare sui giornali passaggi testuali delle ordinanze di custodia cautelare, ma anche di quelle che stabiliscono misure più ‘leggere' come il divieto di dimora o l'interdizione. Il governo Meloni, riunito nel Consiglio dei ministri, ha dato il via libera al decreto legislativo che mette in atto una legge approvata quasi un anno fa: è la cosiddetta ‘legge bavaglio', chiamata così perché rispetto alla situazione impedirebbe ai giornali di pubblicare diverse informazioni sugli sviluppi di indagini in corso.

Il decreto legislativo varato oggi era stato steso e approvato a settembre, poi era andato alle commissioni Giustizia della Camera e del Senato. Queste hanno dato i loro pareri, e oggi il governo ha dato il via libera definitivo. L'esecutivo ha accolto alcune delle richieste delle commissioni, ma non tutte: in particolare, non ha alzato le multe per chi violerà la nuova legge. In Parlamento, però, ci sono già diverse proposte di legge che intervengono sullo stesso tema proprio per aumentare le sanzioni.

Il cosiddetto ‘bavaglio' era stato proposto lo scorso anno dal deputato di Azione Enrico Costa, nel frattempo passato a Forza Italia. L'effetto concreto è che sui giornali non potrà più apparire il contenuto testuale delle ordinanze di custodia cautelare, cioè degli atti con cui i giudici motivano l'approvazione di misure come gli arresti domiciliari o la custodia cautelare in carcere. Ma non solo: il governo ha allargato il raggio della legge, come chiesto dalle commissioni parlamentari, e saranno incluse anche le ordinanze per misure cautelari meno pesanti, come l'obbligo o il divieto di dimora o l'obbligo di firma. Escluse, invece, le ordinanze per i sequestri.

Si tratta di documenti che non sono tecnicamente coperti da segreto investivo, perché sono noti sia alla Procura (naturalmente) che alla persona indagata e alla sua difesa. Nel 2017, la riforma Orlando aveva chiarito la situazione specificando che queste ordinanze erano atti pubblici, e quindi non era vietato pubblicarle, anche per intero.

Ora invece c'è una completa retromarcia. Sarà vietato pubblicare il testo, integrale o parziale, di questi atti. Sarà invece possibile renderne noto il contenuto, quindi riassumere e parafrasare le informazioni inserite dai giudici. Questo divieto resterà attivo fino alla fine dell'udienza preliminare (o, se non è prevista, fino alla fine delle indagini). In sostanza, quindi, fino a quando un giudice avrà deciso di andare a processo oppure la questione sarà stata archiviata.

Chi non rispetta lo stop potrà ricevere una multa per il reato di pubblicazione arbitraria di atti. La sanzione attualmente va fino a circa 260 euro. Le commissioni avevano chiesto di alzare decisamente l'importo della multa: tra le possibilità c'era quella di superare i 50mila euro, per gli editori dei giornali incriminati. Su questo però il governo ha deciso di non procedere: secondo le ricostruzioni di stampa, sarebbe stato perché c'era il timore di andare al di là di quanto previsto dalla legge-delega dello scorso anno, e quindi di spingere il Quirinale a un intervento correttivo.

Sul decreto è arrivato un commento critico del Movimento 5 stelle. Gli esponenti delle commissioni Giustizia del M5s hanno attaccato il governo: "Dopo una corsa lunga mesi, taglia il traguardo il bavaglio imposto alla libertà di stampa, al diritto di cronaca e sopratutto al diritto dei cittadini a conoscere i fatti. Il primo timore del governo e di chi lo sostiene è che le persone comuni vengano a sapere delle malefatte dei potenti, facendo perdere loro consenso politico".

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