Il Governo ferma le attività non essenziali, ma continua la produzione degli F35
Le autorità sanitarie continuano a ripeterlo: anche se le misure di contenimento messe in atto contro il coronavirus stanno funzionando e i nuovi contagi continuano a diminuire di giorno in giorno, non è ancora il momento di riaprire. Eppure ieri circa 200 lavoratori sono tornati nello stabilimento di Cameri dove vengono prodotti i famosi F-35. Leonardo, l'azienda che progetta e realizza questi cacciabombardieri, sta rispettando le regole: il governo ha infatti lasciato carta bianca al settore della Difesa. Ma sono molte le critiche da parte di associazioni e parti sociali: "Ricevuto il via libera che il governo ha dato all'industria degli armamenti, Leonardo ha deciso di considerare la produzione degli F-35 fondamentale", racconta a Fanpage.it Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete italiana per il disarmo.
"Dovrebbero essere circa 200 gli operai coinvolti, tutti impiegati nel settore produttivo, non in ufficio. Di solito allo stabilimento di Cameri girano circa mille persone, quindi sicuramente si tratta di una produzione ridotta come numeri. Però non stiamo nemmeno parlando di due o tre persone: sono un paio di centinaia", denuncia Vignarca, specificando che la questione vada al di là della lotta ideologica che da anni la Rete italiana per il disarmo porta avanti: "Sono fermi milioni di lavoratori perché ovviamente ci sono delle misure di distanziamento sociale da rispettare per avere tutti un beneficio, ma all'industria delle armi si permette di andare avanti. Questa cosa è insensata anche per chi non è un pacifista. Che problema c'è se un cacciabombardiere viene assemblato un mese dopo? Non è qualcosa che serve con urgenza, non è un ventilatore polmonare, non è un macchinario per la terapia intensiva che ovviamente prima arriva meglio è".
I privilegi della Difesa
Dall'altra parte Leonardo afferma che se non si riattiva subito la produzione potrebbero essere a rischio diverse commesse e posti di lavoro. Ma secondo la Rete italiana per il disarmo si tratta semplicemente di una scusa, in quanto tutto il mondo è in lockdown al momento: il ritardo nella produzione non essenziale è assolutamente normale e comprensibile. "E in un certo senso è anche uno schiaffo agli altri lavoratori: altri milioni di lavoratori non stanno forse perdendo commesse? Le altre aziende non stanno forse perdendo possibilità di fatturare? Non ci sono forse posti di lavoro a rischio in tutto il mondo? Se la giustificazione sufficiente per riaprire una produzione del genere è che si potrebbero perdere posti di lavoro, allora non andrebbe chiuso nulla", replica Vignarca.
E denuncia come, ancora una volta, all'industria delle armi vengano riservati privilegi che non sono concessi agli atri settori. Il governo è stato infatti ben chiaro rispetto alle attività che devono chiudere i battenti per far fronte all'emergenza coronavirus. Ma con l'industria della Difesa ha lasciato carta bianca. Infatti, se dopo gli incontri con i sindacati dello scorso 25 marzo il governo si era impegnato a "diminuire la produzione nel settore militare, salvaguardando solo le attività indispensabili", il giorno dopo è emerso che l'esecutivo ha rimesso la decisione su cosa tenere aperto e cosa chiudere direttamente ai produttori di armamenti.
La lettera del governo ai produttori di armi
In una comunicazione firmata dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e dal ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, inviata all'Aiad, la Federazione delle Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza, si invitano le aziende del settore "in uno spirito di collaborazione e leale cooperazione" a prendere in considerazione "l’opportunità che le società e le aziende federate
all’interno di AIAD, nel proseguire la propria attività, possano concentrare l’operatività sulle linee produttive ritenute maggiormente essenziali e strategiche e, di contro, rallentare per quanto possibile l’attività produttiva e commerciale con riferimento a tutto ciò che non sia ritenuto, del pari, analogamente essenziale".
I ministeri hanno sottolineato come nella decisione "sia stata ancora una volta riconosciuta la strategicità e, più in generale, l’apicale importanza, per il nostro Paese, delle imprese operanti nei suddetti settori industriali, imprese la cui attività produttiva, anche in un momento altamente critico e quello che stiamo affrontando, si è comunque deciso di tutelare appieno". Vignarca definisce questa lettera "semplicemente scandalosa", ritenendo inaccettabile che il governo abbia rimarcato la volontà di tutelare il settore. Mentre la salute dei 200 lavoratori che ieri sono stati richiamati a lavoro allo stabilimento di Cameri non è stata certo protetta: "È l'industria che viene tutelata, non il lavoratore. Sappiamo benissimo che con questo tipo di emergenza sanitaria non dobbiamo permettere la diffusione del virus. Ogni tipo di contatto è un rischio".
Al di là della questione pacifista
E se quello che corre l'operatore sanitario andando a lavoro è un rischio necessario, in quanto il suo lavoro oggi è fondamentale per la salute di tutti gli altri, non c'è invece un beneficio per la collettività nella produzione di un cacciabombardiere, prosegue Vignarca: "L'unico beneficio è per l'industria, che in questo modo continua a fare i suoi affari e portare avanti il proprio business: è questa la cosa grave, che va al di là della questione pacifista".
L'attivista sottolinea: "Avremmo potuto discutere sulla necessità o meno degli F-35 in questo momento, ma quantomeno ci saremmo trovati di fronte a una scelta del governo, così come l'ha fatta per altre cose. In questo modo, invece, non solo si presentano i rischi di cui abbiamo parlato prima, non solo c'è un chiaro privilegio a questo tipo di business sulle spalle dei lavoratori, ma tutto questo non deriva nemmeno da una scelta del governo. C'è un autoregolamentazione dell'industria stessa". Rete per il Disarmo, quindi, conclude Vignarca, non condanna solamente la scelta di aver richiamato al lavoro 200 persone quando l'emergenza è ancora lontana dalla sua conclusione, ma anche il metodo con cui la decisione si è concretizzata.