Il governo Meloni fa marcia indietro sulle pensioni dei medici, ora vuole cambiare la manovra
Il taglio delle pensioni dei medici, come di altri dipendenti pubblici, sono uno dei punti che sta scatenando più proteste. I sanitari hanno proclamato uno sciopero per il 5 dicembre solo ieri, e oggi il governo ha risposto dicendo che ha intenzione di ritirare la norma tanto discussa. Il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, parlando al Corriere della sera, ha sostanzialmente ritrattato la riforma.
"C’è stata un’incongruità", ha detto Durigon, "che peraltro rischia di essere incostituzionale. Il governo sta lavorando perché questa norma venga espunta dalla manovra". Le proteste sono arrivate soprattutto dai medici, ma anche altre categorie sarebbero colpite dal taglio: "Il rischio lo corriamo nella sanità ma anche negli enti locali: rischiamo l’uscita repentina del personale che sta gestendo, per dire, le pratiche del Pnrr".
È confermato, quindi, che il governo Meloni ha intenzione di fare un passo indietro per quanto riguarda la riduzione delle pensioni per i dipendenti pubblici. Il testo sarà modificato, ma per i partiti di maggioranza resta l'impegno a non presentare emendamenti: "Certamente potrà essere il governo a proporre i necessari ritocchi", con il maxi emendamento di cui lo stesso sottosegretario aveva già parlato qualche giorno fa.
Durigon ha poi rivendicato che con il nuovo intervento del governo – che ha reso più complicato accedere alla pensione anticipata – "la riforma della professoressa Fornero è in via di superamento, come la Lega ha promesso". E ha aggiunto: "Entro la legislatura, manterremo un’altra promessa: la realizzazione di quota 41". Ieri anche Matteo Salvini è intervenuto sul tema, dando dei numeri piuttosto ottimistici sul pensionamento anticipato di Quota 103, Ape sociale e Opzione donna. "Questa finanziaria non sarà quella della riforma pensionistica che noi vorremmo", ha dichiarato Durigon, "però è certamente quella che crea il percorso per arrivarci".
Il sottosegretario al Lavoro ha detto che "la flessibilità in uscita" potrà essere usata da "17mila persone nel 2024, l'anno dopo 25mila". Anche per le pensioni di vecchiaia i criteri sono cambiati, ma secondo Durigon questo serve ad "aiutare i lavoratori", perché "la Fornero prevedeva che per accedere alla pensione di vecchiaia a 67 anni, avresti dovuto prendere 1,5 volte la pensione minima. Noi, questo requisito lo abbiamo abolito".
Se da una parte questo rende più semplice andare in pensione a 67 anni, i criteri per chi vuole andarci prima sono stati alzati. Ad esempio, con 64 anni di età e 20 anni di contributi, chi vuole lasciare il lavoro deve avere maturato un assegno che è pari almeno a tre volte la pensione minima. Prima bastava che fosse 2,8 volte la minima. Durigon ha commentato: "Abbiamo alzato il requisito per gli uomini, 3 volte la minima, ma abbiamo abbassato a 2,6 volte la minima il requisito per le donne con figli. Un fatto di equità, dato che loro avevano più difficoltà a raggiungere la quota".
Per quanto riguarda l'Ape sociale, questa è stata peggiorata con un'aggiunta di cinque mesi di lavoro, "per la sostenibilità della spesa". Ma per il sottosegretario anche questo è un segnale politico: "Tutto questo ci dice che molti punti fondanti della Fornero sono in corso di superamento, l’ape social nasce appunto per dare una flessibilità alla iniqua legge del governo Monti".