Il governo dice che l’Italia recepirà la direttiva europea sul salario minimo, ma “con cautela”
L'Italia recepirà la direttiva europea sul salario minimo. Oggi, alla Camera, il dibattito ha toccato anche una mozione sul tema, firmata da Andrea Orlando e altri deputati del Pd, che invita il governo ad accogliere nel diritto nazionale la direttiva UE 2022/2041. La norma spinge i Paesi Ue a portare sopra una certa soglia i propri salari minimi (dove esistono già) e a espandere la portata dei contratti collettivi.
La mozione verrà votata domani, ma dopo la discussione in aula è già arrivata la risposta del governo: "Considerando che il tempo di recepimento della direttiva scade tra due anni, 15 novembre 2024, in fase di recepimento verranno attivati tavoli con tutte le parti sociali", ha dichiarato Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro della Lega, per garantire "il più efficace raggiungimento degli obiettivi individuati a livello comunitario". Il processo, quindi, sarà graduale e coinvolgerà sindacati, aziende e le altre parti chiamate in causa.
"Ciò consentirà di evitare inopportuni effetti di spiazzamento del nostro sistema delle relazioni industriali incentrato sulla contrattazione collettiva", ha detto ancora Durigon. Il mercato del lavoro italiano potrebbe subire effetti negativi, ha concluso, se si stabilissero dei "parametri quantitativi", cioè un compenso minimo obbligatorio, senza passare prima da "adeguate procedure negoziali".
Come ripetuto da diversi relatori e dallo stesso Durigon, uno degli obiettivi della direttiva è limitare il fenomeno dei "working poor", cioè di coloro che lavorano, ma hanno uno stipendio talmente basso che restano comunque al di sotto della soglia di povertà. Secondo un rapporto di Svimez pubblicato di recente, si tratterebbe del 18% circa di chi lavora in Italia. Il testo chiede ai Paesi in cui si utilizzano i contratti collettivi di espanderli fino a coprire oltre l'80% dei lavoratori, un numero che l'Italia raggiunge già.
La situazione dei contratti di lavoro in Italia è complessa, ha sostenuto il sottosegretario al lavoro: non c'è un salario minimo, e la nuova direttiva europea non obbliga ad adottarne uno, quindi il livello di compenso è deciso dalla "libera negoziazione delle parti sociali" nei contratti collettivi. Le cifre stabilite nella contrattazione collettiva valgono per chi opera in quel settore, non per tutti i lavoratori, anche se poi a livello giuridico spesso i giudici per individuare quale sia una "retribuzione sufficiente" fanno riferimento ai contratti collettivi. In questo contesto, Durigon ha detto che il percorso per recepire la direttiva europea "dovrà essere approfondito con estrema cautela".
Chiara Gribaudo, deputata Pd, ha introdotto così la mozione del suo partito: "L'ultimo decennio ha visto un decremento drammatico del potere d'acquisto dei salari che oggi si traduce nella presenza di circa un milione e mezzo di lavoratori poveri. Parliamo di donne e uomini che guadagnano fra 550 e 820 euro al mese". Gli ultimi governi sono intervenuti per ridurre il cuneo fiscale, ma "dal lato della contrattazione e imprese, invece, non sono stati fatti passi avanti".
Gribaudo ha rivendicato che nel governo Draghi si era arrivati, "grazie anche al ministro Orlando", a un accordo coi sindacati su questo aspetto, ma la caduta del governo ha bloccato tutto. Comunque le proposte del Pd inserite nella mozione ora sono due: da una parte "la ripresa e la rilegittimazione della contrattazione sindacale", e dall'altra il salario minimo.