Il filo-Putin Petrocelli non si dimette e vuole organizzare un summit tra Russia e Ucraina
Il 3 maggio doveva essere il giorno decisivo per sciogliere il caso di Vito Petrocelli, il presidente della commissione Esteri del Senato che quasi tutti i partiti vorrebbero rimuovere dal ruolo, per le sue posizioni filorusse. E invece a palazzo Madama la situazione si è intricata ancora di più. Per provare a risolverla, diversi senatori della commissione Esteri hanno deciso di rompere gli indugi e hanno annunciato le dimissioni dalla commissione, per provare a forzare la destituzione di Petrocelli. Intanto, quello che dentro al Senato è soprannominato "il compagno Petrov" non solo continua a dire che a dimettersi non ci pensa per niente, ma annuncia anche di essere impegnato a organizzare un summit internazionale per risolvere il conflitto ucraino.
Ricordiamo, che formalmente non esiste la possibilità di sfiduciare i presidenti delle commissioni, dunque per arrivare alla rimozione di Petrocelli occorre percorrere altre vie. La strada che sembra prendere corpo in queste ore è quella delle dimissioni di massa dei componenti della commissione Esteri, che dovrebbe portare la presidente Casellati a constatare l'impossibilità di garantire il funzionamento dell'organismo e dunque dichiararne lo scioglimento, provvedendo poi a ricomporlo con un nuovo presidente.
Per questo motivo, sia i membri del Pd sia quella di Italia Viva hanno annunciato il loro passo indietro. Posizione diversa, invece, è quella dei 5 Stelle, il gruppo di cui ancora oggi Petrocelli risulta appartenente, anche se il leader Conte ha dichiarato che sono in corso le procedure per l'espulsione. Il Movimento ha fatto sapere che i suoi esponenti diserteranno le sedute della commissione Esteri, ma per il momento non si dimettono. E parlando con Fanpage.it, il senatore del Pd Andrea Marcucci attacca: "Le esitazioni dei 5 Stelle, testimoniano le profonde divisioni interne sulla linea da seguire a proposito della guerra in Ucraina".
Molti esperti però dubitano che anche se si arrivasse alle dimissioni di massa, queste porterebbero alla decadenza della commissione e quindi del suo presidente. A complicare questo percorso, peraltro, nelle ultime ore è arrivato un altro ostacolo, la costituzione in Senato di un nuovo gruppo, formato da ex grillini e chiamato "Costituzione Ambiente Lavoro (C.A.L). Uno degli esponenti, il senatore Emanuele Dessì, ha annunciato la volontà di essere inserito in commissione Esteri, per rappresentare la neonata formazione. Dessì ha a sua volta posizioni molto dure sul ruolo dell'Occidente nella crisi ucraina e il suo obiettivo dichiarato è quello di rompere il fronte unanime che vuole la rimozione di Petrocelli.
Ci si aspettava che a sciogliere il nodo, potesse essere la giunta per il Regolamento del Senato, convocata sempre nella giornata del 3 maggio per discutere la questione Petrocelli. Invece, anche questa riunione si è risolta con un nulla di fatto. Spiegano a Fanpage.it i senatori più esperti di questioni procedurali, che la giunta si può esprimere solo di fronte a fatti concreti. Tradotto, prima i componenti della commissione si devono dimettere e poi la giunta può valutare quali sono le conseguenze. Questo al momento non è accaduto, spiegano le fonti, e anzi la commissione Esteri continua a lavorare, tanto che proprio nelle ultime ore, è tornato a riunirsi e ha preso in esame diversi provvedimenti.
Proprio nel corso dell'ultima riunione della commissione, tra l'altro, è emerso un altro colpo di teatro da parte di Petrocelli. Rispondendo a una domanda della senatrice di Italia Viva Laura Garavini, il presidente ha confermato di aver contattato esponenti di vertice del parlamento della Turchia. L'obiettivo è quello di mettere allo stesso tavolo i presidenti delle commissioni Esteri delle assemblee dell'Ucraina e della Russia, insieme a quello turco e allo stesso Petrocelli, per rilanciare le trattative di pace. Insomma, mentre in Italia il compagno Petrov è ormai assediato, la sua convinzione è quella di poter porre fine a un altro assedio, quello della Russia in Ucraina. Anche se lui probabilmente la chiamerebbe "operazione speciale".