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Autonomia differenziata delle Regioni

Il dossier del Senato che boccia l’autonomia differenziata: “Rischia di aumentare le disuguaglianze”

Un dossier dell’Ufficio bilancio del Senato evidenzia i problemi dell’autonomia differenziata: dare più soldi alle Regioni benestanti rischia di far aumentare le disuguaglianze tra territori. L’ufficio stampa del Senato ha detto che si trattava di una bozza provvisoria e non ancora verificata.
A cura di Luca Pons
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La riforma dell'autonomia differenziata, che dovrebbe dare più poteri alle Regioni, rischia di aumentare ancora le disuguaglianze tra una Regione e l'altra. A dirlo non è un esponente dell'opposizione contro governo Meloni, ma il Servizio del bilancio del Senato, con una nota pubblicata oggi e diffusa poi anche con un post su Linkedin. Una nota che, secondo quanto comunicato poco dopo dall'ufficio stampa di Palazzo Madama, sarebbe stata una "bozza provvisoria, non ancora verificata". Tuttavia, le osservazioni sul piano tecnico sembrano difficili da contestare.

Il disegno di legge sull'autonomia è stato approvato dal Consiglio dei ministri a febbraio, e le commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato ci stanno lavorando dal 3 maggio. Il ministro leghista Roberto Calderoli punta molto sulla riforma, tanto da dire che lascerà la politica se questa non passerà. L'ufficio di bilancio del Senato, però, ha steso una relazione tecnica che ha messo in evidenza diversi rischi.

Più soldi alle Regioni ricche, così lo Stato non può aiutare quelle povere

Nella sintesi del dossier, affidata ai social, si chiede se sarà possibile attuare la riforma dell'autonomia differenziata "continuando ad assicurare i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), che costituiscono il nucleo invalicabile di quei diritti civili e sociali, previsti dalla Costituzione, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, in modo da erogare a tutti i cittadini i servizi fondamentali, dalla sanità all'istruzione". La risposta è che l'ufficio tecnico di Palazzo Madama, dopo aver "passato al setaccio" il testo della legge, ha trovato delle "criticità".

Ad esempio, si spiega, se alle Regioni venissero date molte delle funzioni che oggi svolge lo Stato – che è il punto della riforma – ci sarebbe "una forte crescita del bilancio regionale ed un ridimensionamento di quello statale". Questo potrebbe potrebbe portare a "non riuscire a conservare i livelli essenziali delle prestazioni presso le regioni non differenziate". Cioè, le Regioni che si prendono più funzioni dovrebbero usare molti soldi, togliendoli allo Stato, che non potrebbe garantire alle altre Regioni gli stessi livelli nei servizi, dalla sanità all'istruzione.

In questo modo "le regioni più povere, oppure quelle con bassi livelli di tributi erariali maturati nel proprio territorio, potrebbero avere maggiori difficoltà a finanziare, e dunque ad acquisire, le funzioni aggiuntive". Un problema che si autoalimenta, quindi: le Regioni ricche che si prendono molte autonomie si terranno più soldi, e ne daranno meno allo Stato, che così avrà meno risorse per aiutare le Regioni più povere – o comunque quelle che riscuotono meno tasse. La mancanza di soldi renderà sempre più difficile, per le Regioni povere, finanziarsi da sole e arrivare a poter acquisire più autonomie. Un problema evidenziato da più parti, ma sempre negato dal governo.

Non è vero che l'autonomia differenziata non costa nulla allo Stato

Come si legge all'interno del dossier, ogni Regione dovrebbe finanziare le sue nuove funzioni prendendosi una parte delle tasse che normalmente vanno allo Stato: è la "compartecipazione sui gettiti dei tributi". In una "fase avversa dell'economia", però, gli introiti dalle tasse diminuirebbero e le Regioni non potrebbero fare nulla: non avrebbero lo stesso margine di manovra che ha lo Stato, per cambiare in autonomia l'entità delle tasse in base alla situazione. Servirebbero quindi ogni volta nuove trattative Stato-Regione, un processo macchinoso e poco funzionale.

In più, ogni Regione avrebbe la possibilità di trasferire nuove funzioni ai Comuni, le Province e le Città metropolitane, ma questo "potrebbe far venir meno il conseguimento di economie di scala", perché in ogni caso ci sono "dei costi fissi indivisibili legati all’erogazione dei servizi" che pesano di più, se a sostenerli devono essere tante amministrazioni locali invece di una sola più grande.

Infine, il dossier ha messo in evidenza che, anche se nel testo della legge c'è scritto che dall'attuazione dell'autonomia non devono derivare "direttamente oneri a carico della finanza pubblica", ci sono una serie di passaggi che richiederanno con tutta probabilità dei costi. Dalla decisione dei Livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti in tutta Italia, fino a tutte le operazioni di monitoraggio necessarie per assicurarsi che questi Lep siano rispettati.

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