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Opinioni

Il dossier dei Pro Vita contro il gender è un inquietante e ridicolo inno al bullismo

Dalla bufala sulle lezioni di autoerotismo infantile nelle linee guida OMS alla lista di scuole che adottano la carriera alias, passando per pretese di contraddittorio alle assemblee studentesche nelle scuole superiori: l’associazione Pro Vita e Famiglia aggiorna le sue liste di proscrizione.
A cura di Roberta Covelli
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Novantatré pagine, comprese copertina e facciate vuote, in toni di azzurro e rosa: l’associazione Pro Vita e Famiglia ha pubblicato il dossier sui "Progetti applicati nelle scuole italiani ispirati alla teoria gender". Si tratta di un "vademecum", aggiornato al gennaio 2023, che stigmatizza semplici iniziative sul rispetto delle differenze, sul rifiuto degli stereotipi, sull’accettazione del proprio corpo e delle diversità: si va da laboratori con lettura di fiabe ad assemblee degli studenti (delle superiori) sulle malattie sessualmente trasmissibili, con un elenco dettagliato di luoghi, date, nomi dei protagonisti e indicazioni sugli eventuali finanziatori. E, contrariamente al titolo del dossier, non tutti gli eventi si svolgono a scuola. Ma questa è solo una delle tante incoerenze, ipocrisie e offese alla logica contenute in questa lunga lista di proscrizione, che merita di essere analizzata e smontata.

Una bufala più che decennale: le linee guida OMS e l’autoerotismo infantile

Tra i primi progetti denunciati dall’associazione Pro Vita e Famiglia ci sono le cosiddette linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità, che nel 2010 ha pubblicato gli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa, un documento che mira a offrire un "Quadro di riferimento per responsabili delle politiche, autorità scolastiche e sanitarie, specialisti". Di fronte a tassi crescenti di infezione da HIV, a fenomeni di gravidanze adolescenziali indesiderate e di violenze sessuali, l’OMS ritiene essenziale l’educazione sessuale basata sull’informazione chiara, sulla conoscenza non stigmatizzante, sulla cultura del consenso.

Per maturare un atteggiamento positivo e responsabile verso la sessualità, essi hanno bisogno di conoscerla sia nei suoi aspetti di rischio che di arricchimento. In questo modo saranno messi in grado di agire responsabilmente non solo verso se stessi ma anche verso gli altri nella società in cui vivono.

Nel dossier dei Pro Vita però le linee guida OMS sono presentate come direttive secondo cui i bambini tra gli 0 e i 4 anni dovrebbero essere informati "sul piacere nel toccare il proprio corpo, e sulla masturbazione infantile precoce".

Ma davvero l’OMS propone lezioni di autoerotismo all’asilo nido o alla scuola dell’infanzia? Ovviamente no, e questa interpretazione da parte dei Pro Vita dimostra ancor di più quanto sia necessario saper trattare i temi della sessualità e dell’affettività con il linguaggio corretto e senza pregiudizi. Quando questo non succede, e si vive immersi tra tabù e stereotipi, parole come "masturbazione" innescano subito pensieri maliziosi, ovviamente preoccupanti se accostati ai bambini.

Quel che si legge però nel documento dell’OMS (che chiunque può consultare) è relativo allo sviluppo globale nelle diverse fasce d’età e, di conseguenza, alla necessità che le figure educative siano consapevoli, aperte, non stigmatizzanti rispetto a pratiche che i bambini mettono in atto spontaneamente, senza alcun tipo di malizia. Rispetto ai più piccoli, allora, è necessario saper trattare comportamenti come l’autoerotismo infantile, senza far sentire sbagliati o in colpa i bambini e insegnando loro i confini, specie rispetto all’esplorazione e al contatto con il corpo altrui.

L’alleanza tra scuola e famiglia come mezzo di censura

Sfatata la bufala sulla sessualizzazione precoce dei bambini per colpa dell’OMS, è il caso di chiarire subito che uno dei cavalli di battaglia contro il gender da parte dei Pro Vita è la libertà educativa delle famiglie e il diritto di informazione su progetti e iniziative a cui partecipano i figli. Il principio, in sé, non è sbagliato, ma è utilizzato dai Pro Vita non per richiedere una partecipazione attiva delle famiglie, bensì come arma per vietare eventi sgraditi.

Nonostante l’aura vittimista, con le testimonianze (sempre anonime) sul linciaggio di genitori preoccupati e dubbiosi rispetto all’educazione dei propri bambini, nel dossier l'associazione si vanta dell'annullamento di iniziative gender. Gli eventi censurati, tra l'altro, non sono fantomatiche lezioni di masturbazione impartite all’insaputa dei genitori, ma spesso sono progetti frutto dell’alleanza educativa tra scuole e famiglie, come in un caso del 2018, in provincia di Terni, fieramente riportato nel dossier.

"Bambole azzurre e soldatini rosa": questo il nome del progetto, condiviso con docenti, genitori e direzione didattica, attraverso giochi, letture e fiabe, che si proponeva di educare i bambini alle emozioni e al contrasto agli stereotipi di genere. L’assessore comunale alla Scuola del Comune di Terni, Valeria Alessandrini (Lega), ha impedito lo svolgimento del progetto.

Assemblee d'istituto, iniziative pubbliche, seminari universitari

L'intento censorio si intravede anche nell'interminabile elencazione critica di iniziative, eventi, convegni su questioni LGBTQI+, o riflessioni su politiche di genere, o anche, semplicemente, su tematiche considerate divisive dall'associazione Pro Vita. Tra questi, anche progetti per i quali il consenso dei genitori è presunto o ininfluente.

In molti casi si tratta infatti di assemblee studentesche, definite dalla normativa come una "occasione di partecipazione democratica per l’approfondimento dei problemi della scuola e della società in funzione della formazione culturale e civile degli studenti". Il diritto di riunirsi a scuola, entro determinati limiti (numero massimo, diversificazione del giorno della settimana, divieto di convocazione nell'ultimo mese di lezioni), è stato sancito nel 1994, e le tematiche affrontate sono frutto dell'autonomia di scelta degli studenti (salvo per la presenza di ospiti esterni, che deve essere autorizzata dal consiglio di istituto). Ragazze e ragazzi tra i quattordici e i diciannove anni potranno avere la libertà di parlare di malattie sessualmente trasmissibili, senza chiedere il permesso a mamma e papà?

La risposta è sì, checché ne pensi l'Associazione Pro Vita e Famiglia, che, nella lunga lista di progetti gender, inserisce anche ricerche e seminari universitari in materia di stereotipi di genere, ossia studi condotti da persone adulte, presentati e discussi con persone adulte, che in piena libertà decidono se partecipare o meno a cicli di conferenze. Come questo possa essere un attentato alla libertà educativa delle famiglie non è chiaro.

Allo stesso modo non si capisce per quale ragione segnalare eventi e laboratori per bambini, su inclusione e diversità, offerti alle famiglie nel tempo libero: sembra quasi che gli estensori del dossier ritengano che esista una libertà di insegnare alla prole che le femmine giocano con le bambole e i maschi con le macchinine, ma che altri genitori non abbiano viceversa il diritto di scegliere, per i propri figli, un'educazione più aperta e meno stereotipata.

Dalla matematica gender ai questionari agli insegnanti

Ci sono poi casi in cui i "progetti gender" altro non sono che domande di questionari, nei quali è richiesto di dichiararsi in accordo o in disaccordo con affermazioni poste (cioè esattamente quel che normalmente avviene con i questionari).

Tra le denunce del dossier compare anche un progetto europeo che proporrebbe ai ragazzi di seconda superiore la matematica gender. In realtà, EU Project 752874 è una rilevazione per valutare il gender gap nelle discipline scientifiche, e nella matematica in particolare. Trattandosi di una statistica che coinvolge tanto le competenze scolastiche, quanto questioni di genere (e il contesto sociale in cui si sviluppano), la somministrazione prevedeva sia un test di matematica, sia un questionario su ansia e autovalutazione, sia "alcune altre domande utili per ricostruire il background socio-culturale della famiglia di origine", tra cui richieste di dichiararsi più o meno d'accordo su temi relativi a omosessualità, aborto, ruolo femminile.

Il questionario era anonimo, anche se, come spesso avviene, al termine del test era proposto agli studenti di lasciare il proprio indirizzo e-mail qualora desiderassero essere ricontattati per indagini ulteriori (senza comunque che questo contatto rendesse meno anonimi i risultati di test e questionario). Non occorre essere degli statistici o dei sociologi per capire che, nell'analisi della differenza di rendimento tra maschi e femmine in matematica, può essere utile capire se una ragazza che ha pessime performance nella materia ritenga (per citare una delle domande) che una donna non debba mai prendere iniziative sessuali in una relazione, perché si potrà così ipotizzare una correlazione tra stereotipi sul ruolo femminile e scarsa fiducia nelle proprie potenzialità, anche matematiche.

Ma questo non è l'unico questionario denunciato dai Pro Vita, che criticano anche una rilevazione anonima somministrata al personale scolastico dalla Regione Friuli Venezia Giulia.

"Progetto regionale di prevenzione e contrasto al fenomeno del bullismo omofobico": domande per rilevare "l’omofobia" tra gli insegnanti. Si chiede di esprimere il proprio accordo/disaccordo su frasi come: "il rapporto sessuale tra due uomini è qualcosa di sbagliato"; "penso che i gay siano disgustosi"; "l’omosessualità è una malattia". Oppure: "A scuola, quando a qualcuno viene detto o viene scritto di lui "finocchio, frocio, culattone", cosa fa Lei generalmente?".

Ma davvero è un problema valutare, tramite un questionario anonimo, quanto sia diffusa l'omofobia tra chi ha un ruolo educativo (e anche di tutela) verso i più giovani (omosessuali compresi)?

Vita e famiglia non c'entrano: un dossier simile è solo pro-bullismo

Si potrebbe proseguire a lungo nell'analisi puntuale dei contenuti del dossier anti-gender, ma il punto è già piuttosto evidente: con il vittimismo nelle denunce, con l'idea di libertà educativa a senso unico, con l'intento censorio, il bersaglio dell'Associazione Pro Vita e Famiglia sono semplicemente progetti di inclusione sociale, di accettazione di sé e delle diversità, di superamento degli stereotipi sociali e, perfino, iniziative di benessere psico-sanitario. In altre parole, con il pretesto di difendere i bambini, il dossier anti-gender legittima bullismo e discriminazione, stigmatizzando qualunque iniziativa che possa portare le persone (di età, genere, origine diverse) a sentirsi accettate per quel che sono nel loro ambiente di riferimento.

Non si spiegherebbero, altrimenti, le liste di proscrizione di libri, pensati per varie fasce d'età, sui temi della famiglia, dell'adozione, della diversità, che vanno dalla fiaba di un uovo adottato da due pinguini al manuale di filosofia per scuole superiori. O, ancora, l'elenco di scuole superiori che hanno introdotto la carriera alias, ossia la possibilità per studenti trans di avere un'identità parallela rispetto a quella anagrafica, cioè un accordo di riservatezza tra scuola e studente (con famiglia, se minorenne), per evitare che la persona che sta vivendo un percorso di transizione venga chiamata in pubblico con l'identità che non sente sua. È una pratica che non danneggia nessuno, ma alleggerisce il disagio delle persone in transizione: attaccare una misura simile, così come denunciare le scatole di assorbenti gratuiti nei bagni scolastici o scagliarsi contro ogni progetto che affronti il tema delle diversità, degli stereotipi, dell'accettazione, è semplicemente una subdola forma di bullismo, che trasuda in ogni pagina del dossier contro i progetti gender dell'Associazione Pro Vita e Famiglia.

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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