Il deputato Grimaldi: “Il problema siamo noi maschi. Da padre vi dico perché serve il congedo paritario”
di Marco Grimaldi, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra
Si discute molto poco di conciliazione. O meglio, si parla solo di una sua declinazione: come sollevare le donne del carico di cura attraverso il welfare e i servizi, in sostanza il sostegno pubblico. Anche in questo, in Italia, siamo carenti, “che ve lo dico a fa”. Eppure, in tutta sincerità, recuperare su quel terreno non raddrizzerebbe ciò che è storto. Perché? Perché non andrebbe fino in fondo incontro a desideri e bisogni delle persone.
Diciamoci la verità, lo stesso PNRR italiano è figlio di questa impostazione: gli strumenti di empowerment femminile e contrasto alle discriminazioni di genere sono identificati con investimenti in infrastrutture sociali e con il riconoscimento del valore sociale dell'attività di cura. Penso, invece, che serva cambiare paradigma e – di conseguenza – reclamare, insieme a quelle, altre politiche: mettersi al passo con l’evoluzione del concetto di “conciliazione” in quello di “condivisione”.
Già il problema siamo noi. Uomini. Anzi in questo caso definiamoci maschi se non reclamiamo i nostri diritti.
Il lavoro non retribuito svolto dalle donne
Provo a spiegarmi: il rovescio della medaglia per cui le donne italiane si fanno ancora carico del 74% del lavoro di cura, svolgendo 5 ore e 5 minuti di lavoro non retribuito di assistenza e cura al giorno, è la scarsissima dedizione degli uomini a queste attività.
Sapete quanto è la media? Soltanto 1 ora e 48 minuti.
I dati sul lavoro di cura non retribuito svolto dalle donne gettano l’Italia al quinto posto nel continente europeo (dopo Albania, Armenia, Portogallo e Turchia). In Francia e in Germania è inferiore di oltre 10 punti percentuali.
E qual è l’elemento complementare? In Italia lavora solo il 55% delle donne (dato più basso di tutta l’UE). Guarda caso, nei Paesi europei che registrano tassi di occupazione femminili più alti, il peso delle cure è maggiormente distribuito tra i partner.
Dunque, di che cosa c’è bisogno? Di noi figli, papà, nipoti. Non solo più asili, più strutture per anziani, trasporti efficienti, accessibili ed economici. Non solo welfare che alleggerisca il peso con cui l’organizzazione sociale grava sulle donne. Ossia non solo strutture che consentano alle donne di conciliare l’attività lavorativa con oneri che – senza mai discuterne –attribuiamo a loro.
C'è bisogno di responsabilizzazione da parte degli uomini
Io la dico per come mi sento. Per come sento tanto nei desideri tanto nelle insofferenze di tanti. È il momento che i partner si sentano a loro volta coinvolti nella gestione della sfera domestica. Abbiamo bisogno di una responsabilizzazione? Sì, in molti casi sì. Lo dico senza retorica, molti avrebbero bisogno di un “apprendistato domestico” e relazionale. Molti, più di quanti immaginiamo, lo desiderano già oggi. E servono politiche che incoraggino tutto questo.
Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha generato un effetto domino di dichiarazioni di uomini più o meno in vista, che si sono detti pronti a mettere in discussione il proprio “essere maschi”. Dentro quel ripensamento radicale ci deve essere anche il modo in cui ci pensiamo e ci viviamo come compagni di vita e come padri. Come dicevo, questa lenta e profonda rivoluzione è già cominciata, anche se tanti non se ne rendono conto o fanno finta di non vederlo.
Partecipare in egual misura
Nei Paesi dell’OCSE, gli ultimi decenni sono stati teatro di una progressiva transizione dal modello tradizionale “Male Bread Winner/Female Care Giver” a un modello intermedio. Lo chiamano “Dual Earner Family” ed è una condizione diffusissima: pur lavorando entrambi, l'impegno lavorativo della donna è di tipo marginale, sostanzialmente a integrazione del reddito familiare.
Tuttavia, si affaccia un altro modello di lavoro e di famiglia, grazie al progressivo aumento dei livelli di qualificazione femminile: il cosiddetto “Dual Career Family”. È ciò che già sperimentano tante coppie della mia generazione – forse senza averlo tematizzato del tutto – soprattutto in contesti culturalmente e socialmente favorevoli.
Qui, tutti i componenti della famiglia, uomini e donne, desiderano realizzarsi pienamente nel lavoro e al contempo partecipare in egual misura alla gestione, all’organizzazione e alle decisioni che riguardano la vita familiare e domestica. Ci sarebbe molto da dire sulle possibilità che il nostro Paese offre a entrambi questi slanci di realizzazione esistenziale, ma per il momento mettiamolo da parte.
Lo “Universal Care Giver” o “Equally Shared Parenting” è quindi un modello in cui la genitorialità viene equamente condivisa. Ed è già una realtà. Una realtà in crescita. E pensate, non solo a livello mondiale, ma perfino in Italia aumenta la propensione da parte dei giovani padri a dedicare più tempo alle attività di cura familiare e domestica.
Le indagini sui valori (World Values Survey-WVS) ci raccontano di nuove generazioni di uomini che danno più valore alla famiglia e alla paternità. Parallelamente, di ragazze e donne delle stesse generazioni che assegnano maggiore importanza all'impegno professionale e formativo e non interpretano più la famiglia come ambito esclusivo di realizzazione di sé.
La politica si sta adeguando, sta accompagnando e, se possibile, accelerando questo processo?
Perché serve un congedo paritario
Come in Italia, anche in Francia nascono meno bambini, ragion per cui il presidente Emmanuel Macron ha fatto sua la proposta di un congedo paritario e retribuito: sei mesi per la madre e altri sei per il padre.
In Spagna, nel 2021 sono state istituite 16 settimane di congedo di paternità obbligatorio e retribuito al 100%, ossia le stesse garantite alla madre e non interscambiabili, di cui le prime 6 da utilizzare subito dopo la nascita del bambino.
In Norvegia i padri possono beneficiare di quasi un anno di congedo con 46 settimane pagate al 100% o 56 settimane all’80%: 12 settimane per la madre, 12 per il padre e il resto da dividere fra i due.
In Svezia ogni genitore ha diritto a 12 mesi di congedo da condividere, ma sono obbligatori almeno due mesi a testa. In Finlandia, dal 2021 sono stati equiparati i mesi di congedo fra madri e padri.
In Germania si ha diritto a 12 mesi di congedo parentale che diventano 14 se ne beneficia anche il padre (per almeno due mesi) e con una retribuzione pari al 67% dello stipendio.
E in Italia? Prima del 2013 il congedo di paternità semplicemente non esisteva. La legge garantiva unicamente un congedo sostitutivo a quello materno, di cui il padre poteva usufruire solo in caso di morte o grave infermità della madre, di abbandono da parte della madre o di affidamento in via esclusiva al padre.
Ma perfino quella recentissima conquista è stata quasi del tutto simbolica: un solo giorno di congedo obbligatorio, pagato al 100% alla nascita, più due facoltativi.
Solo nel 2021 i giorni sono diventati dieci, obbligatori e pagati al 100%, più due facoltativi. Non certo una trasformazione radicale.
A fine 2022, con un nostro emendamento al bilancio accolto dalla maggioranza, il congedo parentale di un mese è stato esteso a entrambi i genitori, in via alternativa, e la sua indennità incrementata dal 30 all'80%.
Un primo, timidissimo passo in un Paese abissalmente lontano dagli standard europei. Tuttavia, è chiaro il sesto mese alternativo fra uomo e donna diventerebbe uno strumento realmente significativo se entrambi disponessero dello stesso numero di mesi obbligatori di congedo.
I ricatti sul lavoro alle donne
Solo così sarebbe davvero possibile redistribuire il carico domestico e di cura e sottrarre le donne alla ricattabilità sul lavoro. Ed è ciò che proponiamo dal primo giorno di legislatura, con un progetto di legge depositato immediatamente.
Congedo di paternità di sei mesi per un periodo continuativo, con indennità al 100%, di cui tre obbligatori e tre facoltativi, da usufruire nell’arco dei primi dodici mesi di vita del bambino. Da applicare, naturalmente, anche in caso di adozione e affidamento, riconoscimento e a figli di coppie omogenitoriali formalmente registrati da un’anagrafe comunale o riconosciuti da una sentenza di tribunale (e anche su questo, ci sarebbe da dire molto sulle gesta del Governo Meloni).
Perché obbligatorio? Perché non basta il congedo parentale? Su circa 400mila nascite, nel 2021 più della metà dei papà non hanno usufruito nemmeno del congedo obbligatorio, figuriamoci di quello facoltativo. Come è possibile? Allora è una causa persa!
Al contrario: la tendenza delle richieste è in lenta e costante crescita, ma deve essere potentemente incentivata. Non facciamo l’errore di pensare che tutti quei papà pensino che stare a casa pagati per cambiare pannolini sia umiliante. Ma, certamente, in tantissimi luoghi di lavoro quella scelta è derisa o stigmatizzata: nelle piccole aziende, soprattutto, i papà fanno fatica a reclamare il diritto di assentarsi anche se per pochissimo. Una legge impositiva sarebbe un elemento di liberazione.
Sì, ma perché proprio di sei mesi? Perché mettere sullo stesso piano il ruolo di una madre e quello di un padre nella prima fase di vita di un bambino? Su questo ci sarebbero lunghe discussioni da aprire, ma aiuta partire dagli effetti: il congedo di paternità esteso e obbligatorio, ponendo i due genitori sul medesimo piano di fronte al datore di lavoro, di fatto annullerebbe le condizioni che rendono le donne potenziale oggetto di ogni genere di “mobbing da maternità”. A me basta questo.
E, visto che il Governo è ossessionato (a parole) dalla natalità, parliamo anche di natalità: dove è maggiore il bilanciamento nell'uso del tempo tra uomini e donne, anche i desideri di genitorialità riescono più spesso a realizzarsi. Per contro, i tassi di rinuncia alla maternità in Italia sono tra i più alti in Europa soprattutto per l’assenza di opportunità di conciliazione e strumenti di condivisione.
Introdurre un vero congedo di paternità in Italia cambierebbe in meglio la vita di tutti e tutte. Sarebbe una vera rivoluzione sociale e culturale. Alla nostra portata.