Come noto, nella giornata di domani il Consiglio dei ministri approverà il Documento di economia e finanza, cardine delle politiche economiche dei prossimi mesi. Si tratta di mettere nero su bianco i cosiddetti margini d'azione dell'esecutivo, chiarendo la quantità, la provenienza e la destinazione delle risorse e ipotizzando qualità e tenore degli interventi in campo economico e fiscale (ma non solo). In poche parole l'esecutivo darà una propria valutazione sullo "stato" delle finanze pubbliche, indicherà gli obiettivi a breve e medio termine, illustrerà i criteri alla base degli interventi futuri, "interpreterà" i parametri economici e proverà a presentare alle istituzioni europee un "piano" per l'adempimento degli obblighi e per le successive proposte.
Si tratterà di un passaggio complesso, anche nella considerazione delle tante perplessità sugli indicatori economici e sui parametri intorno ai quali sarà incardinata l'azione del Governo. A cominciare dalla questione del Pil, decisamente spinosa, come ricorda Cingolani su Linkiesta: "La Ue, infatti, contesta la previsione sull’andamento del prodotto interno lordo. Fabrizio Saccomanni aveva ipotizzato un ottimistico 1,1%, Padoan scende realisticamente a 0,8 ma per la commissione europea l’Italia non andrà oltre lo 0,6 per cento. La differenza di appena 0,2 punti sembra un cavillo statistico, però da qui derivano due cose fondamentali: le coperture del taglio all’Irpef sui salari sotto i 25 mila euro (i famosi 80 euro al mese in busta paga) e le condizioni del fiscal compact che vanno rispettate dal prossimo anno". A ciò vanno aggiunte le considerazioni sul rapporto fra deficit e Pil (oggi l'Istat ha certificato che nel 2013 il rapporto si è mantenuto entro la soglia del 3 percento), con la consapevolezza della distanza fra le prime indicazioni del Governo Letta (con la stima del 2,5%) e quelle della Commissione Ue che parlano di un 2,6% e con la certezza che nei prossimi mesi il rapporto salirà proprio per "scelta" dell'esecutivo. Per il 2015 dunque il documento potrebbe valutare un rapporto nell'ordine dell'1,8%, che sarebbe superiore alla previsione Saccomanni – Letta (1,6%) ma rappresenterebbe comunque una garanzia per la Ue della distanza rispetto alla soglia del 3%.
Il Def dovrebbe poi contenere anche gli importi esigibili dalla spending review (anticipando che, come vi abbiamo spiegato qui, gran parte dei risparmi sono già "opzionati" dalle manovre dei governi precedenti), anche se non conosceremo il dettaglio dei tagli (che probabilmente verrà reso noto nelle prossime settimane). Certo è che Renzi ha già anticipato che il prossimo passo sarà un intervento sugli enti pubblici, nel tentativo di investire parte delle risorse recuperate per l'aumento di 80 euro in busta paga promesso settimane addietro. La stima fatta per i prossimi mesi è di circa 6,7 miliardi di euro, dei quali 3 – 5 recuperabili attraverso la spending review (anche perché Renzi ha già escluso interventi sulle pensioni e sulla sanità, almeno nell'immediato). In tal senso, come ricorda Sky, "non è escluso che alla fine si possa far conto anche di altre entrate "di garanzia". Tra queste: il rimpatrio dei capitali, la riduzione della spesa per gli interessi sul debito (visto il calo degli spread) e anche la maggiore Iva che si incasserà dal pagamento dei debiti arretrati della pubblica amministrazione".