È abbastanza arduo commentare le norme che il governo ha imposto per le festività natalizie. A memoria, non mi pare di ricordare delle formulazioni così confusionarie, cervellotiche e bizantine per disciplinare una questione decisiva, letteralmente, per la vita di milioni di italiani. Con ingiustificato e ingiustificabile ritardo, il governo guidato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha partorito un decreto che non solo risulta incomprensibile nei fini e nella strategia di fondo, ma nella pratica anche facilmente aggirabile, visto che i controlli sono pressoché impossibili (per fortuna ancora non siamo arrivati a un tale livello di violazione dei diritti individuali) e le eccezioni di portata tale da vanificare anche la ratio di fondo, che dovrebbe essere quella, sacrosanta, di limitare la mobilità e le interazioni sociali per non far detonare la bomba epidemiologica.
Si fa fatica anche solo a riepilogare le indicazioni, immaginiamo lo spaesamento dei cittadini nell’applicarle. Nei giorni 24, 25, 26, 27 e 31 dicembre 2020 e nei giorni 1, 2, 3, 5 e 6 gennaio 2021 in tutta Italia saranno in vigore le regole relative alla «zona rossa», dunque non si potrà uscire di casa se non per giustificato motivo, bar e ristoranti saranno chiusi se non per il servizio di consegna a domicilio, i negozi resteranno chiusi. Nei giorni 28, 29 e 30 dicembre 2020, e nel giorno 4 gennaio 2021, in tutta Italia saranno in vigore le regole relative alla «zona arancione», con qualche piccola modifica: si potrà uscire da un Comune se la popolazione non supera i 5.000 abitanti e se il Comune dove ci si vuole spostare non è più lontano di 30 chilometri, ma in nessun caso si potrà raggiungere il capoluogo di provincia.
Attenzione, però, perché resterà possibile spostarsi tutti i giorni per andare in un’altra abitazione privata. Come? Lo «spostamento verso le abitazioni private è consentito una volta sola al giorno in un arco temporale compreso fra le ore 5 e le ore 22» (quello del coprifuoco), ma le persone che si spostano non potranno essere più di due, oltre a eventuali figli minori di 14 anni (in ogni caso non si potrà uscire fuori Regione). In altre parole, una coppia potrà uscire di casa “una volta al giorno” per andare a trovare un parente, un amico o una famiglia di conoscenti (non c’è alcun vincolo di parentela), nell’intero periodo che va dal 24 dicembre al 6 gennaio. Non è chiarissimo chi debba controllare e soprattutto come: la sensazione è che questa norma si presti a una serie di eccezioni e casistiche particolari da non impedire assembramenti o situazioni. Ancora una volta, insomma, tocca al senso di responsabilità dei cittadini.
Il nuovo decreto, inoltre, non modifica quello del 2 dicembre, le cui norme restano valide dal 21 al 23 dicembre: in questi 3 giorni non sarà possibile muoversi tra Regioni diverse ma resteranno aperti i negozi e fino alle 18 anche bar e ristoranti. Se a questo sommiamo il fatto che 5 Regioni sono in zona arancione fino al 19 dicembre, abbiamo un quadro complessivo che rasenta la schizofrenia: un cittadino della Toscana, ad esempio, è in zona arancione fino al 19, in zona gialla il 20 dicembre (con possibilità di andare in altre Regioni gialle), in zona gialla ma senza uscire dalla Regione nei giorni 21, 22, 23, in zona rossa dal 24 al 27, in zona arancione (ma con possibilità di muoversi fra Comuni sotto i 5mila abitanti in un raggio di 30 chilometri) dal 28 al 30, poi torna in zona rossa i giorni 31 dicembre, 1, 2 e 3 gennaio, per passare velocemente il 4 gennaio all’arancione e tornare in zona rossa il 5 e 6 gennaio. Un cittadino della Campania a tutto ciò deve poi aggiungere il fattore De Luca, che studia un’ordinanza per chiudere tutto e vietare la somministrazione di alcolici (che forse c’entra, forse no, non ho ben capito).
Come si è giunti a questo? Come mai il governo ha cambiato norme varate 14 giorni prima, che erano state comunicate come "decisive" per la gestione ordinata del periodo natalizio? E perché si è arrivati al 18 dicembre, quando milioni di italiani si erano già organizzati e decine di migliaia di attività commerciali avevano pianificato vendite e azioni in un periodo fondamentale?
La risposta non è semplicissima, perché il governo si è trovato quasi costretto a prendere atto della gravità della situazione. E a dover agire di conseguenza.
Mentre il governo lavorava al provvedimento, l’ISS rendeva noti i dati del monitoraggio settimanale sull’andamento dell’epidemia nel nostro paese. Dopo settimane di lenta decrescita, dobbiamo fare i conti con una nuova risalita dei contagi, che sta facendo scattare i primi campanelli d’allarme in alcune regioni (Lazio, Lombardia e Veneto su tutte), in un contesto in cui non accenna a scendere la curva dei decessi (circa 700 anche oggi, con la John Hopkins University che segnala come l’Italia abbia il più alto tasso di mortalità per centomila abitanti). I tecnici del ministero della Salute sono lapidari: “L’incidenza in Italia rimane ancora troppo elevata e l’impatto dell’epidemia è ancora sostenuto nella maggior parte del Paese. Tale situazione non permette un allentamento delle misure adottate nelle ultime settimane e richiede addirittura un rafforzamento delle stesse in alcune aree del Paese”. E, relativamente al Natale, aggiungono: “É complesso prevedere l’impatto che potrebbe avere il periodo di feste natalizie, tuttavia le aumentate mobilità e interazione interpersonale tipica della socialità di questa stagione potrebbero determinare un aumento rilevante della trasmissione di SARSCoV-2”. Del resto, la situazione è in peggioramento in tutta Europa e molte nazioni hanno deciso di impostare un lockdown duro proprio per le festività natalizie. Le parole di Angela Merkel, ancora una volta, sembravano indicare la strategia da seguire: rigore e chiarezza, senza nascondere la gravità e la durezza dei sacrifici chiesti ai cittadini.
Il nostro governo ha fatto un casino, perché pur seguendo la strada del rigore e della prudenza non ha avuto il coraggio (o la forza economica) di andare fino in fondo. Ne è nato un compromesso, una linea confusionaria e forse anche pericolosa, proprio perché lascia ampi margini per festeggiare come e con chi ci pare. Addirittura Conte in conferenza stampa ha parlato della volontà di "garantire un minimo di socialità", come se il governo potesse entrare in una sfera privata e stabilire quanto e come godere degli affetti e dei rapporti interpersonali (e non, al contrario, occuparsi di proteggere la salute della collettività).
Il problema del Natale è noto da tempo, soprattutto in un contesto con circa 800mila casi attivi, 800 morti al giorno e l'affanno dei servizi sanitari: accorgersene adesso è imperdonabile. È da settimane che analisti ed esperti indipendenti insistono sulla pericolosità delle feste natalizie quanto a impatto sul quadro epidemiologico. L’aumento della mobilità e delle interazioni sociali come acceleratori del contagio sono fra le poche certezze che abbiamo sulla diffusione del Sars-Cov2; la pericolosità degli incontri intra-familiari, legata soprattutto all’alto tempo di esposizione e alla bassa areazione dei locali casalinghi, è un elemento noto da tempo, così come è risaputa la vulnerabilità delle persone anziane. Non c’era e non c’è mai stato modo di festeggiare il Natale come se nulla fosse, a meno di non mettere in conto una valanga di contagi e decine di migliaia di morti.
Rinunciare al Natale non è semplice, ma è l'unica cosa che possiamo fare per salvare decine di migliaia di vite. Con o senza l'aiuto del nostro governo, è quello che ci tocca fare.