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Il decreto flussi è fabbrica di illegalità, ma la colpa non è dei migranti: quello che non torna nella narrazione di Meloni

Tutto quello che non torna nella narrazione della Meloni sul decreto flussi sui migranti. Un processo amministrativo che genera solo illegalità senza prevedere controlli ai datori di lavoro. Le vere vittime sono i migranti.
A cura di Antonio Musella
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L'informativa di Giorgia Meloni sul decreto flussi, per l'accesso di stranieri extracomunitari nel nostro paese, ha suscitato scalpore ma anche molte reazioni politiche. La presidente del consiglio ha scelto non solo di riportare al centro dell'attenzione mediatica la vicenda migranti a partire da una norma varata dal suo stesso governo (è un bene precisarlo), ma ha anche scelto di mettere nel mirino la Campania, portandola ad esempio negativo di un fenomeno, che come vedremo qui di seguito, è comune in tutto il paese. La Meloni ha raccontato il fenomeno con una narrazione che è piena zeppa di lacune e strumentalizzazioni. Già perché più che il presunto interesse del crimine organizzato nell'ingresso irregolare di migranti in Italia, la Meloni avrebbe dovuto prendere atto di come è l'intero decreto flussi, da lei fortemente voluto, ad essere un provvedimento che ha fallito ed ha creato solo una montagna di irregolarità.

Il buco nero del funzionamento del decreto flussi

Il cosiddetto "Decreto Flussi" stabilisce il numero di persone straniere extracomunitarie che possono entrare nel nostro paese ogni anno. Per poter accedere a questa normativa, un cittadino migrante deve entrare nel nostro paese con un visto, quindi attraverso un viaggio regolare. Deve inoltre trovare quello che la legge chiama "sponsor", ovvero un datore di lavoro che può essere un'azienda, una grande società, un commerciante, un singolo imprenditore, ecc. ecc. che gli prometta un contratto di lavoro regolare. Dopo aver ottenuto la promessa di assunzione, il migrante partecipa al cosiddetto "click day", giornata in cui le centinaia di migliaia di migranti che hanno fatto domanda di accesso attraverso il decreto flussi, devono compilare online le richieste. Negli step successivi l'assunzione dovrebbe andare a buon fine e quindi il numero di pratiche accettate, che a senso di logica dovrebbe essere pari al numero di migranti di cui il governo vuole concedere l'accesso per motivi di lavoro, dovrebbe portare all'inserimento materiale nel mondo del lavoro da parte del migrante.

Questa roba qui però è tutta teoria. In pratica invece il decreto flussi del governo di Giorgia Meloni è un "monumento al non senso" ed una fabbrica di illegalità. Partiamo da ciò che denuncia la Meloni: le promesse di contratto di lavoro degli sponsor, ovvero dei datori di lavoro sono infinitamente superiori al numero di migranti che poi effettivamente vanno a lavorare. Iniziamo con il dire che gli sponsor, ovvero i potenziali datori di lavoro, non hanno alcun limite rispetto alle promesse di assunzione che possono concedere ai migranti, ed in questa condizione è molto facile trovare speculazioni e illegalità, fatte chiaramente sulla pelle dei migranti. Gli sponsor, che quindi possono promettere anche decine assunzioni ai migranti, a loro volta non sono sottoposti a controlli da parte del Ministero dell'Interno, quindi lo Stato decide di non avere alcuna contezza su chi sono, cosa fanno e se hanno un reale bisogno di manodopera. Gli unici che sono sottoposti a controlli sono i migranti che chiedono di accedere al decreto flussi, fatto che evidenzia come al legislatore non interessi tanto controllare che la filiera avvenga in maniera trasparente, ma concentra tutti gli accertamenti solo sull'anello più debole, ovvero i migranti potenziali lavoratori.

Gli sponsor possono ritirare la loro promessa di assunzione in qualsiasi momento, senza pagare nessuna sanzione. Questo aspetto evidenzia come l'intero macchinoso ciclo amministrativo del decreto flussi sia soggetto, per costituzione, alla produzione di uno scenario assolutamente non congruente. Già perché nel momento in cui lo sponsor ritira la sua promessa di assunzione senza pagarne le conseguenze, il migrante sarà già in Italia e ci sarà senza documenti regolari. Ma arriviamo al paradosso dei paradossi. Se il migrante  arrivato in Italia con la promessa di assunzione da un datore di lavoro dopo che lo sponsor ha ritirato la sua promessa di assunzione senza pagare nessuna conseguenza, trova un altro datore di lavoro disposto ad assumerlo regolarmente, non può essere regolarizzato. Un ostacolo assolutamente senza senso. Basterebbe infatti sostituire la procedura di regolarizzazione, ma lo Stato non lo permette, lasciando il migrante, che quindi lavora regolarmente con un contratto di assunzione diverso da quello dello sponsor presentato nella richiesta, nella condizione di irregolare. Una follia.

Dove sbaglia Giorgia Meloni

Un vero e proprio dossier è stato stilato da una serie di associazioni, tra cui Asgi, Chiese Evangeliche, Arci, CNCA, Action Aid, Oxfam ed altri, è la campagna "Ero Straniero", che elenca tutte le inadeguatezze del decreto flussi. Secondo lo studio solo il 23,5% delle richieste si è trasformato in impiego regolare. Le domande complessive per l'anno 2023 sono 462.422 a fonte di 82.705 posti. Numeri che ci dicono due cose. Innanzitutto non è vero quello che dice la Meloni, cioè che le 157 mila domande presentate in Campania sono la metà delle richieste. Nel messaggio lanciato dai suoi profili la presidente del consiglio dice che si favorisce l'ingresso in Italia a chi non ne ha diritto. Questa cosa è una fandonia. La legge prevede che il migrante deve richiedere l'assunzione allo sponsor, potenziale datore di lavoro, e può arrivare regolarmente in Italia solo dopo aver presentato la domanda con tanto di promessa di lavoro da parte dell'azienda italiana o del singolo. Quindi i migranti stanno semplicemente seguendo la legge.

Negli ultimi mesi proprio sul decreto flussi, al Ministero dell'Interno ci sono state diverse audizioni delle associazioni di categoria che hanno denunciato la lunga serie di incongruenze della normativa del governo, tra loro anche Mimma D'Amico, del "Forum per Cambiare l'ordine delle cose". "Il decreto flussi è semplicemente un processo criminogeno. Dopo anni di decreti flussi fatti molto male, il governo ha deciso di fare una programmazione triennale per andare incontro alle esigenze delle aziende. Per renderlo più snello hanno abolito tutti i controlli che riguardano le aziende che promettono le assunzioni, che prevedevano i controlli in Prefettura, in Camera di commercio, ecc, ecc. Oggi non ci sono più, ma il decreto non funzionava né prima e né adesso" spiega a Fanpage.it. I dati ci parlano di una legge che non funziona proprio per come è stata concepita, a fronte invece di una narrazione di Giorgia Meloni che è mera propaganda tesa a criminalizzare i migranti e ad invocare la presenza fantomatica di grandi organizzazioni criminali. "Bisogna smettere di dire che c'è la criminalità dietro al decreto flussi, è il decreto flussi che è criminogeno perché non può esserci un processo lineare con un meccanismo del genere – sottolinea la D'Amico – il governo ha scoperto l'acqua calda, se vuole può mettere mano alla legge e cambiarla. Le persone che sono arrivate stanno lavorando, nella maggior parte dei casi non con lo sponsor indicato nella domanda del decreto flussi, ma hanno comunque un contratto regolare, solo che la legge non li riconosce. Che colpa dovrebbero avere queste persone?".

La Meloni ha voluto concentrare la sua comunicazione sul caso Campania, dove, secondo i dati da lei forniti, solo il 3% delle domande si è trasformato in impiego nei settori agricoltura e alberghiero. "E' facile dire che in Campania c'è la criminalità – spiega D'Amico – la maggior parte delle domande da questa regione arrivano dalla provincia di Caserta, che storicamente è luogo di arrivo di migranti ma anche di sfruttamento degli stessi soprattutto in agricoltura. Il quadro del decreto flussi mi sembra uno di quegli esempi in cui si indica il livello di corruzione di un paese, ed è questa legge che lo favorisce. La corruzione esiste, ma è assurdo dare la colpa ai migranti. Dai nostri osservatori abbiamo più volte denunciato come i datori di lavoro si fanno pagare fino a 14 mila euro per un contratto di lavoro, soldi che vengono pagati dai migranti che nel frattempo si indebitano e  accettano qualsiasi tipo di lavoro, anche quelli a 2 euro all'ora nelle campagne. E questo può mai essere quello che l'Italia chiama un modo di accesso regolare nel nostro paese? Criminalizzare le vittime è vergognoso".

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