Come da prassi consolidata della Terza Repubblica, anche la diciannovesima legislatura comincia con un vaffanculo. E per quanto clamoroso sia l’epiteto colto dalle telecamere che Silvio Berlusconi riserva a Ignazio La Russa, non si può dire che non sia inatteso. Perché l’elezione dell’esponente di Fratelli d’Italia a presidente del Senato, senza i voti di Forza Italia, certifica quel che appariva già evidente in campagna elettorale: che quella di centrodestra è in realtà il cartonato di una coalizione che esiste solo nella testa dei suoi elettori, che esiste solo in ragione della gestione del potere, e che nemmeno prova a nascondere tutte le sue faide intestine appena sorgono questioni su chi e come tale potere deve gestirlo.
Lo psicodramma di Forza Italia sulla presidenza del Senato e sulla presenza o meno di Licia Ronzulli nel governo Meloni prossimo venturo non è uno dei tanti potenziali punti di rottura all’interno della maggioranza parlamentare. Solo ieri abbiamo raccontato la spaccatura tra Ronzulli e Antonio Tajani all’interno di Forza Italia, quella tra Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti nella Lega, quella tra Lega e Forza Italia contro lo strapotere di Fratelli d’Italia e quella tra Forza Italia e Lega, accusata di aver ceduto di fronte all’imposizione del nome di La Russa al Senato per non perdere la presidenza della Camera. E mentre scriviamo, si parla di una possibile delegazione separata di Forza Italia al Colle, per le consultazioni. Eventualità, questa, su cui non scommetteremmo un nichelino, ma che dà la dimensione del livello di conflittualità con cui Giorgia Meloni dovrà avere a che fare.
Intendiamoci: non andrà sempre così. Anzi, è più che probabile che a questi scontri fratricidi facciano seguito momenti di clamorosa armonia, ma saranno chiari di luna che accompagneranno ogni presidenza di commissione da assegnare, ogni nomina in una partecipata da concordare, ogni capitolo di spesa da allocare. Storia vecchia, direte voi. Sì, ma fino a un certo punto: perché oggi il parlamento è dimezzato e basta una piccola fronda per far andare sotto un esecutivo. E perché il carisma e il potere mediatico di Berlusconi non saranno indirizzati alla mediazione tra le parti, ma saranno un potente fattore di balcanizzazione della coalizione. Preparate i popcorn.
Se il centrodestra non esiste – o esiste come mera rappresentazione di sé -, la destra invece esiste eccome, e nel giro delle prossime settimane mostrerà al mondo la sua faccia più radicale. Tra pochi giorni avremo infatti la presidente del consiglio più a destra che l’Italia ha mai avuto, la prima proveniente da un partito post fascista, un presidente del Senato con i busti del Duce in casa, che all’insediamento propone una giornata per celebrare la nascita del Regno d’Italia, e un probabile presidente della Camera ultraconservatore come Lorenzo Fontana, che fino all’altro ieri definiva Vladimir Putin come la “luce della cristianità” in contrapposizione all’Occidente degenerato.
Niente male, per quella che alcuni commentatori ancora dipingono come la versione moderata, draghiana, atlantista ed europeista della destra di governo. Mentre quella stessa destra mette un ulteriore tassello nel suo processo di normalizzazione del nostalgismo fascista e dell’ultraconservatorismo, facendo avanzare di un paio di caselle chi già avevamo imparato ad accettare come ministro della gioventù (Meloni, 2008), ministro della difesa (La Russa, 2008) e ministro degli affari europei (Fontana, 2018) senza battere ciglio.
Non sappiamo quanto questa maggioranza riuscirà a sopravvivere a se stessa, ma già sappiamo che, politicamente e culturalmente, sposterà ancora un po’ più a destra il baricentro politico del nostro Paese. E, in fondo, quei 19 voti arrivati dall’opposizione a soccorso di Ignazio La Russa sono la dimostrazione plastica di come stia già succedendo.