Il centrodestra è in ritardo anche sul decreto per accelerare il Pnrr
Il decreto Pnrr, ufficialmente chiamato "decreto legge 13/2023 riguardante Disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza", è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 24 febbraio. Il governo Meloni, nei 58 articoli del testo, ha inserito numerose misure che hanno lo scopo di velocizzare le procedure per la realizzazione del Piano.
I ritardi del Pnrr sono uno dei più grossi problemi che il governo si trova ad affrontare. In gioco ci sono quasi 130 miliardi di euro di fondi europei che l'Italia deve ancora ricevere, ma di recente il ministro Fitto – incaricato di coordinare la realizzazione del Pnrr – ha detto che alcuni progetti sono irrealizzabili nei tempi previsti.
Quando scade il decreto Pnrr
Da quando un decreto legge viene emanato e poi pubblicato nella Gazzetta ufficiale, entra immediatamente in vigore. Ma nei sessanta giorni successivi devono intervenire Senato e Camera, per eventualmente modificarlo e poi approvarlo: solo così il decreto viene convertito in una legge e resta valido. Altrimenti, al termine dei sessanta giorni è come se il decreto non fosse mai esistito.
Il Parlamento ha tempo fino al 25 aprile per convertire il decreto Pnrr in una legge. Come accaduto quasi sempre nel corso di questa legislatura, è probabile che tutte le modifiche importanti verranno fatte nella prima camera – in questo caso il Senato – e poi il testo passerà all'altra – la Camera – solo per una conferma finale. Ad oggi, è più di un mese che la commissione Bilancio del Senato sta lavorando sul testo e mancano circa tre settimane alla scadenza.
I motivi per cui sarebbe stato meglio arrivare più in fretta all'approvazione del decreto sono diversi. Con l'ultimo rinvio di un mese, la Commissione europea si è presa tempo fino a fine aprile per valutare i progressi dell'Italia e decidere se erogare la terza rata del Pnrr, da 19 miliardi di euro. Come la senatrice M5s Dolores Bevilacqua ha spiegato a Fanpage, tra i temi su cui la Commissione avrebbe dei dubbi ci sarebbe anche la nuova governance del Pnrr, che il governo Meloni ha modificato proprio con il decreto sul Piano.
In più, Bruxelles ha invitato i Paesi membri a inviare le proprie eventuali richieste di modifica del Pnrr entro il 30 aprile. Il governo ha sempre detto di avere intenzione di modificare il Piano, per tentare di renderlo più realizzabile. A poche settimane da questa scadenza, però, una delle norme più importanti per definire la gestione del Pnrr è ancora al centro del dibattito in Senato.
Le tensioni nella maggioranza sulla possibilità di rinunciare ai fondi
Nel frattempo, l'esecutivo appare diviso: oggi il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, ha detto che si potrebbe anche "valutare la possibilità di rinunciare a parte del Pnrr, se non si dovesse riuscire a investirli in progetti realmente necessari". Un'ipotesi che, finora, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni non ha mai menzionato.
Anzi, la stessa presidente del Consiglio ha risposto dalla fiera Vinitaly: "Non prendo in considerazione l'ipotesi di perdere le risorse del Pnrr. Prendo in considerazione l'ipotesi di farlo arrivare a terra in maniera efficace. Complessivamente il clima di collaborazione con l'Europa è ottimo. Non sono preoccupata dai ritardi sul Pnrr, stiamo lavorando molto, non mi convince molto la ricostruzione allarmista".
Cosa ha fatto finora la maggioranza nei lavori sul decreto
Dopo il via libera del governo, il testo del decreto è stato consegnato formalmente alla commissione Bilancio il giorno stesso – 24 febbraio – e i lavori sono iniziati in modo ufficiale il 28 febbraio. I due relatori in commissione, cioè i senatori che si incaricano di portare avanti i lavori sul decreto sono stati nominati il due marzo: si tratta di Matteo Gelmetti, di Fratelli d'Italia, e di Elena Testor della Lega.
Da allora, la commissione Bilancio del Senato ha trattato il decreto Pnrr in ben quattordici sedute. Il 13 marzo è scaduto il termine per presentare gli emendamenti: le proposte di modifica erano 952, di cui la maggior parte dal centrodestra. In particolare 196 da Fratelli d'Italia, 167 da Forza Italia e 151 dalla Lega. Ce n'erano poi 140 del Pd, 87 del Terzo polo e 79 del Movimento 5 stelle.
I tre principali partiti che guidano il governo, quindi, hanno presentato oltre cinquecento emendamenti al decreto approvato poche settimane prima dal governo stesso. Una procedura legittima sul piano parlamentare, che però ha allungato ancora di più i tempi, evidentemente per sistemare degli aspetti su cui la maggioranza non era convinta quando il decreto ha avuto l'ok.
Sempre la senatrice Bevilacqua ha raccontato a Fanpage che i lavori procedono "a rilento perché ancora una volta la maggioranza si sta avvitando su se stessa". Uno dei temi discussi sarebbe lo scudo erariale per i sindaci: "Vorrebbero estendere le garanzie per i sindaci fino al 2025, ma anche su questo non riescono a mettersi d'accordo. Si procede tra fibrillazioni interne e incapacità oggettiva", ha commentato Bevilacqua.